USA 2016. Città e campagne: “Tra Philadelphia e Pittsburgh c’è un’altra Pennisylvania”

Donald Trump alla Casa Bianca

 

Come e in qual modo Donald Trump ha vinto

Una lunga, infinita, campagna quella datata 2016.

Datata 2016 e cominciata a marzo del 2015.

Donald Trump, sbeffeggiato e dileggiato dall’intero caravanserraglio mediatico, destinato secondo tutti al ritiro pressoché immediato, scende in campo il 16 giugno dell’anno precedente quello elettorale.

Cento – che dico? – mille contro uno, la quota.

Mi è simpatico, ma neppure io gli credo.

Poi, l’uno dopo l’altro, i contendenti GOP evaporano.

Poi, dai primi di febbraio, i media passano in secondo piano.

E’ la gente che si esprime nei caucus e nelle primarie.

E The Donald vince.

Arriva il 21 maggio 2016.

Per caso, ascolto Euronews, ed ecco quello che subito dopo scrivo e pubblico su www.elezioniusa.it e in www.italiausa.org:

“Dalla parte del popolo

Euronews, 21 maggio ore 12.

L’inviato dell’emittente è a Louisville, Kentucky.

Intervista un paio di persone fuori dal palazzetto nel quale ha svolgimento un convegno della National Rifle Association.

Donald Trump ha appena parlato e da par suo.

Il primo degli intervistati è un giovanotto.

Dice: “Io sono un provinciale e un borghese.

Trump è di New York e ricco ma pensiamo le stesse cose.

Non c’è differenza” e ne è convinto.

La seconda persona intervistata è una donna sulla sessantina.

E quel che dice è illuminante: “Finalmente un candidato del popolo, non dei partiti!”

Ecco, la forza del tycoon nuovaiorchese è qui: viene percepito come un candidato nuovo, alternativo, in grado sul serio di cambiare le cose, un antisistema che gli antisistema

possono sostenere e votare.

Difficile, duro batterlo!”

Passano quasi due mesi e, sempre nei siti indicati, pubblico:

“Pennsylvania, Ohio, Florida, i sondaggi al 13 luglio 2016

‘Swing States’, così si definiscono gli Stati che di volta in volta possono mutare e mutano orientamento il giorno della general election assegnando i loro grandi elettori non secondo una consolidata tradizione ma al partito e al candidato al dunque più gradito.

Due, in particolare, gli Stati che per tale caratteristica spesso sono determinanti: Ohio e Florida.

In questo 2016, un terzo Stato – abitualmente democratico – pare sia in bilico essendo tra quelli nei quali Donald Trump ha maggiore peso: la Pennsylvania.

Ecco, quindi, che l’attenzione riguardo alle intenzioni di voto dei tre territori deve essere molta.

Uno degli istituti di maggior consistenza e notorietà, Quinnipiac, ha condotto un sondaggio appunto colà.

Ha chiesto prima di scegliere tra Clinton e Trump e dopo

di indicare la preferenza includendo nel novero Gary Johnson e Jill Stein.

Ecco i risultati tra i due maggiori contendenti:

Pennsylvania: Trump quarantatre, Clinton quarantuno.

Ohio: quarantuno pari.

Florida: quarantadue Trump e trentanove Clinton.

Di seguito, quelli che vedono in corsa anche Johnson e Stein.

Pennsylvania: Trump quaranta, Clinton trentaquattro, Johnson nove, Stein tre.

Ohio: Trump trentasette, Clinton trentasei, Johnson sette e Stein sei.

Florida: Trump quarantuno, Clinton trentasei, Johnson sette e Stein quattro.

Da notare che è Hillary Clinton a cedere più voti a libertariani e verdi.

Ricordo che colà il sistema di attribuzione dei grandi elettori nella general election è il ‘winner take all’ che implica che chi otttiene più voti popolari prende tutti i delegati al collegio elettorale in palio”.

(Col senno di poi, Quinnipiac aveva ragione).

Il successivo 30 luglio, memore dei trascorsi, vergo:

“Bible belt

Gli Stati Confederati?

Pressappoco.

Gli Stati del Sud?

Non tutti.

Gli Stati una volta definiti ‘dei poveri bianchi’ guardando agli abitanti e raccontati magistralmente in ‘Piccolo campo’ e ‘La via del tabacco’ (ma, non solo) da Erskine Caldwell e in ‘Furore’ da John Steinbeck?

Anche.

Gli Stati nei quali i cristiani protestanti predominano,

in particolare gli evangelici?

Certo.

Gli Stati che per White House votano repubblicano ad occhi chiusi?

Da dopo Lyndon Johnson e la rivoluzione geopolitca da quel grande presidente portata a termine, sì.

Si tratta dell’Alabama, dell’Arkansas, delle due Caroline,

della Georgia, del Kentucky, della Louisiana, del Mississippi, del Missouri, dell’Oklahoma, del Tennessee e del Texas,

‘Red States’ quasi garantiti che costituiscono la ‘Bible Belt’, la ‘cintura della Bibbia’.

Qui Donald Trump trova consensi.

Malgrado le opposizioni interne al GOP, certezze.

Qui Hillary non dovrebbe avere speranze”.

(Mai previsione fu più azzeccata).

 Due giorni ancora e in data 1 agosto 2016 scrivo:

“Le sequenze a White House dal 1856 

Barack Obama è alla fine del secondo mandato.

Dovesse l’8 novembre vincere Hillary Clinton avremmo il terzo quadriennio democratico consecutivo.

Ove si escludano in quanto assolutamente anomale le quattro elezioni consecutive di Franklin Delano Roosevelt (l’unico che si è proposto in più di due occasioni) e quella successiva di Harry Truman, quando uno dei due partiti che si confrontano per la presidenza dal 1856 ha vinto più di due volte di fila?

Per cominciare, il repubblicano si è imposto consecutivamente dal 1860 al 1880 compreso per un totale di sei mandati l’uno dopo l’altro (Lincoln, Lincoln, Grant, Grant, Hayes, Garfield gli eletti).

Ancora il partito dell’elefante dal 1896 al 1908 incluso per complessivi quattro quadrienni di seguito (McKinley, McKinley, Theodore Roosevelt, Taft i vincitori).

Di nuovo il GOP tra il 1920 e il 1928 per tre termini (Harding, Coolidge, Hoover gli eletti).

Ancora e ancora il i repubblicani dal 1980 al 1988 con tre mandati (Reagan, Reagan, George Herbert Bush).

A ben guardare, quindi, F.D.R. escluso, vincesse l’ex segretario di Stato, per la prima volta il partito dell’asino vincerebbe tre confronti elettorali l’uno dopo l’altro!”

Arriva l’8 agosto e i media imperversano:

“Conta l’opinione degli elettori, non quella dei media

Certo, i media, a caccia di scoop purchessia, enfatizzano

ogni e qualsiasi alito di vento, ma è quello agostano, successivo alle convention, normalmente, un periodo di laboriosa attesa nell’evolversi della campagna elettorale per la Casa Bianca.

Certo, ogni giorno, ogni improvviso accadimento può contribuire a cambiare le carte in tavola, ma nei due schieramenti è questo il momento di ragionare, di correggere gli infiniti errori commessi, di programmare lo sprint finale.

E’ quella tra Hillary Rodham Clinton e Donald Trump (Gary Johnson e Jill Stein finiranno per non contare molto) una partita aperta, per quanto i sondaggi – comunque ballerini – possano indicare il contrario.

Certo ancora, il tycoon, a detta degli osservatori, sbrocca ad ogni pie’ sospinto, ma quel che conta al riguardo non è evidentemente la poco influente opinione dei media

ma quella dell’elettore.

Certo, Hillary è vulnerabile (sarebbe vulnerabile non fosse difesa e salvaguardata in ogni modo).

Comunque, una del tutto relativa pausa occorre.

Non è forse questa la più affascinante campagna per

White House da molti anni in qua!?”

Ieri si è finalmente votato e Donald Trump ha vinto.

Contro chi?

“Contro tutto e tutti

8 novembre 2016: una data che resterà nella storia non perché in quel giorno si è eletto il nuovo presidente – il quarantacinquesimo – degli Stati Uniti.

Resterà nella storia perché il vincitore ha dovuto battere una vera pletora di avversari.

La rivale Hillary Clinton, per cominciare.

Il presidente Obama che ha fatto una infuocata e inutile campagna a favore della signora.

Lo schieramento dei media tutti dichiaratamente amici dell’ex first lady.

I sondaggisti che non ne hanno indovinata una.

Il partito democratico, naturalmente.

Quello repubblicano, incredibilmente, il cui intero establishment era contro di lui.

Chapeau.

 

Riflessioni conseguenti

Città contro champagne, una riflessione datata 10 novembre 2016

“Philadelphia Ovest, Pennsylvania.

Sono le dieci di sera dell’8 novembre.

Al Cavanaugh’s bar, ritrovo degli studenti universitari, il televisore è acceso.

La fiducia regna sovrana.

Hillary vincerà.

Il sigillo è stato dato la sera prima da Barack Obama e Bruce Springsteen in un affollato comizio concerto.

“Come va?”, chiede distrattamente ai presenti un giovane entrando.

Non ottiene risposta.

Solo sguardi preoccupati, facce incredule.

Sullo schermo, la Florida e l’Ohio, poco prima azzurrini. sono adesso rosa pallido.

Che succede?

Gli è che dopo i voti dei seggi cittadini stanno arrivando quelli delle campagne.

E le campagne votano Trump.

Un’oretta ancora, e, mentre Florida e Ohio volgono al rosso intenso, anche la Pennsylvania trascolora.

Tra i molti ragazzi, un tipo sulla cinquantina.

Scuote il capo, finisce di bere e prima di uscire tira fuori una frase che ai millennials presenti suona incredibile:

“Tra Philadelphia e Pittsburgh c’è un’altra Pennsylvania!”

Hillary ha dragato le città.

Donald ha chiamato a sè le campagne.

Il blu urbano ha perso.

Il rosso contadino ha vinto.

Tutto qua!

 

Lettura

Il ‘sogno americano’ di John Didyoung

di Marco Raffo

 

Cape Coral, FL, 19 agosto 2016.

John Didyoung è un lontano parente, sua madre era marchigiana, cugina di mia nonna,

emigrata per vivere una vita serena in un paese libero.

John ha ormai ottanta anni

Ha ricevuto l’onorificenza ‘Eagle scout’ per aver trascorso una vita al servizio della comunità scout.

È credente praticante, fortemente ancorato a valori cristiani

che però vede pericolosamente minacciati.

Figlio di un ferroviere, non ha mai goduto di privilegi economici ed ha sempre sostenuto la solidarietà nei confronti di chi ha bisogno e serve il proprio paese.

John vuole votare Trump.

Non certo per i suoi modi discutibili, ma perché gli è più vicino nell’interpretare il sogno americano.

Il sogno di una grande nazione libera dove l’élite sia mobile come la società, dove il merito venga riconosciuto

e anche chi, come sua madre, è arrivata da un altro Paese

abbia il diritto di diventare americano a condizione di accettarne regole e costumi.
Cape Coral, FL 9 novembre 2016.

John festeggia la vittoria di Trump.

John ha avuto ragione: l’establishment è stato battuto

dal popolo.

 

L’esito

Donald Trump

306 grandi elettori

59.692.974 voti popolari

 

Hillary Clinton

232 grandi elettori

59.923.027 voti popolari

 

E’ la quinta volta nella storia che il candidato vincente prende meno voti popolari dello sconfitto.

Da notare che, ove si escluda la prima occasione, datata 1824 e quindi precedente ai confronti diretti tra democratici e repubblicani, sempre (nel 1876, nel 1888, nel 200 e quest’anno) il perdente apparteneva al partito dell’asinello e, conseguentemente, sempre il vincitore a quello dell’elefantino!

Mauro della Porta Raffo