Sulla scia di Roosevelt, ma “mescolando” fuoco e caminetto: qualche riflessione sulla convivenza

Ogni contingenza e ogni epoca presenta “regole” proprie non scritte…

Oggigiorno si è soggetti a maggiori pressioni – forse provenienti dall’esterno – ed è facile compiere determinate scelte; nondimeno, è anche frequente mutare in corso le decisioni prese o, addirittura, quando si sono andati a creare determinati vincoli (a volte, del resto, le scelte non sono sempre ponderate, ma sono figlie di capricci e di rivalsa).

 

Si vedono con sempre maggior diffusione ragazzi – anche coetanei a chi qui scrive – che si sposano, ma poi divorziano o “riempiono di corna” marito e/o moglie.

 

L’amore sincero verso una persona dovrebbe partire prima di tutto da un amore verso se stessi, aspetto forse – per quel che se ne può sapere – più marcato in passato.

Molte persone confondono l’attrazione fisica con l’amore, vanno a convivere – magari si sposano – e al termine della prima si rendono conto che la relazione si basava su fondamenta effimere.

Sempre in passato, forse, si costruiva un rapporto, prima della convivenza e/o del matrimonio, molto più concreto: un linguaggio “segreto” per non essere scoperti dai genitori mentre si era al telefono di casa, lettere d’amore che mettevano a nudo la personalità di una persona, desideri che non venivano senza attesa soddisfatti, ma che venivano concessi centellinandoli, et cetera.

Insomma, una serie di aspetti che preparavano gradualmente a una scelta importante, come quella del matrimonio. In un certo senso, tutto ciò poteva rappresentare una sorta di convivenza, addirittura più intensa rispetto a quelle (concrete solo in superficie) di oggi!

 

Non va tralasciata, peraltro, la presenza ingombrante – e non richiesta – di una Chiesa Cattolica che “instillava” il senso di colpa, talvolta anche di qualche utilità, quando e se rivolto all’importanza del rispetto altrui.

 

Oggi, è possibile, si è perso molto, se non tutto, di quel linguaggio “tecnico” che preparava al matrimonio, quella sorta di convivenza “intellettuale” e di sensibilità. Piuttosto, in questi tempi, non c’è misura e, ahimè, l’assenza di misura è normalità: si passa da un eccesso all’altro in tutti i campi; senza quell’aspetto (caro anche a molti alchimisti) che è la gradualità. Ognuno dovrebbe essere libero di sperimentare per essere più completo possibile e, successivamente, effettuare determinate scelte. Indubbiamente c’è più tempo, ma lo stesso non andrebbe sprecato…

Chi qui scrive ha un carattere decisamente difficile e mal sopporta i vincoli. E però, trovandosi davanti a una persona che sceglie gradualmente di crescere insieme e di provare un’esperienza complessa che tuttavia può arricchire entrambi, egli sceglie di passare dall’proprio individualismo a una sorta di collettivismo, di percorrere il tragitto che dovrebbe portare dall’io al Noi, per arrivare al Sé, sempre memore dell’insegnamento kantiano secondo il quale le persone vanno trattate come fine e mai come mezzo.

 

È la scelta di una convivenza che vuole tenere conto di tutto quel bagaglio culturale che oggi non c’è (quasi) più: lettere, dialoghi, messa a nudo delle proprie paure e delle proprie convinzioni, et cetera.

 

Oggi è normale convivere prima di un matrimonio o per tutta la vita. Ma non sempre la normalità va di pari passo con crescita e civiltà: è normale buttare mozziconi di sigaretta per strada perché più facile e perché si risparmia tempo, è forse questa è l’ottica con cui spesso si va oggigiorno a convivere? Se questa venisse vissuta come integrazione a tutto quel bagaglio culturale di cui sopra si parlava, allora potrebbe essere un ulteriore gradino verso la crescita del singolo e, si auspica, della coppia, con prudenza e pazienza.

Lorenzo Bellei Mussini