Sui i fatti di Macerata

di Paola Olivelli, Preside emerito della Facoltà di Giurisprudenza dell’Universita’ di Macerata 

Sia  egli straniero, sia egli razzista, è la mancanza di valori della società attuale che sonnecchia nella banalità.

Come tutti i maceratesi che pensavano di vivere in una città tranquilla, serena, non per niente definita città della pace, anche io sono rimasta sconvolta dai fatti di questi giorni, io che da  quando avevo 18 anni, e ora ne ho 80, ho sempre camminato da sola, a qualunque ora del giorno e della notte, per le vie della mia città e ora mi sento continuamente ripetere non andare lì o là perché è pericoloso. 

Le istituzioni e i ministri, soddisfatti per l’arresto del fascista razzista, sanno quello che gira fra la gente seria e per bene che dice: ” non doveva sparare, però…….”. Ecco, è questo “però” che mi interroga.  Prima la brutale fine di Pamela, una ragazza diciottenne che io ho incontrato due o tre volte nella comunità, la Pars, che l’ospitava e dove con alcuni amici vado una volta alla settimana a fare dei canti per rallegrare loro e noi con una serata diversa e Pamela era una di quelle che cantava meglio degli altri, poi la sparatoria per le vie della città e l’arresto di un altro povero giovane, razzista o fascista che sia, ma sempre un essere umano che vive nel disagio  di questa società come Pamela, come quel nigeriano che ha commesso quell’atroce delitto  e come probabilmente tutti noi, anche se crediamo di essere migliori e più felici. 

Queste vicende mi hanno interpellato non solo come cittadina maceratese, ma come essere umano e mi sono chiesta perché si vive in questo enorme disagio; ho pensato al Signore degli Anelli, ( si badi bene che Tolkien era cattolico e non fascista come alcuni credono!) a Mordor , il Male, che lentamente pervade il mondo e pochi, nella terra di mezzo, tranne Gandolf, se ne accorgono e poi alla Compagnia dell’Anello che si muove contro il Male e chi porta L’Anello non è Aragon , l’eroe, ma il piccolo Hobbit; e subito dopo mi è venuto in mente anche il Salmo 33 in cui Dio chiede “ C’è un uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici?” Chi può dire di non desiderarlo, chi nel profondo del suo cuore non vuole scoprire  qualcosa o qualcuno che gli dia la possibilità della felicità e del senso della sua vita negli affanni e nei dolori del quotidiano? La questione è come trovare la risposta a questo desiderio del cuore, un cuore che è lo stesso in tutti gli uomini, africani, europei, asiatici, fascisti o comunisti, democratici e non.  Pamela ha creduto di trovarla in una sostanza che l’allontanasse dal disagio di vivere e poi nella fuga da un posto in cui le regole, pur necessarie per salvarsi, la stringevano, il nigeriano Oseghale, fuggito chissà da quali orrori, in un sogno di vita migliore e ritrovatosi a vivere nello squallore e ai margini di una società ricca e serena che non aveva posto per lui, Luca in un delirio di supereroe vendicatore, e io? E noi? Pamela ha scritto una cosa verissima, che tutti dipendiamo da qualcosa. La questione è da chi e da che cosa! 

San Benedetto scrisse nella Regola che quella domanda del Salmo, Dio la fa alla moltitudo populi, una folla,  una molteplicità anonima , ma nello stesso tempo unita nel tempo e nello spazio che conosce divisioni, discordanze e conflitti e di cui ogni essere umano è parte e Dio cerca in questa folla, uno che sappia dire Ego, Io, uno cioè che abbia coscienza di sè , del proprio io, un Io che non è definito da un possesso e neanche da quello che è in se stesso o crede di essere, ma dal desiderio che rivolge a un Altro, dal desiderio di un bene per sé, di una vita e felicità per sé, che sia completa ed eterna, che riconosce però di doverla domandare a un Altro, una felicità  che non si crea lui, che non si dà da se stesso, né può  ricevere dalla moltitudine stessa.

E allora o dipendiamo da Dio o da cose che nel tempo si rivelano fugaci o addirittura menzognere, come credo sia nell’esperienza di tutti, mentre ciò che caratterizza il desiderio vero del nostro cuore è che siano eterne, il per sempre degli innamorati. 

Ciò che è venuto meno nella nostra società è proprio questo sentimento dell’io, l’io è più nascosto che mai , più disperso che mai, più affogato che mai in un deserto di anonimato, di livellamento identitario, di confusione quanto alla coscienza di sé. E qui, come ha detto molto bene il nostro vescovo, sta la responsabilità di noi cristiani , che nel battesimo abbiamo risposto “Io” e che nella vita di tutti i giorni dovremmo ripeterlo, che dovremmo testimoniare come per noi, come per ogni uomo, ci sia, pur nel dolore e nella sofferenza, la letizia di chi sa dove sta la felicità eterna e dove il suo desiderio di infinito è completamente appagato, perché tutte quelle cose che ogni uomo desidera trovano in questo un valore eterno. 

Eppure in ogni omelia, in ogni preghiera dei fedeli in questi giorni non ho trovato mai un accenno a questa testimonianza, che fosse calata nella tragedia di questi giorni; per fortuna è arrivata una parola chiara dal nostro vescovo e per questo lo ringrazio infinitamente. Ognuno di noi può essere il piccolo Hobbit che combatte il Male che non è l’immigrato o il fascista, ma il nihilismo che pervade la nostra società.

Paola Olivelli