Quando si studiava il francese

Allorquando – e correva il 1955 – approdai alle medie, nessuno in famiglia si sognò di mettere in discussione la lingua straniera che colà avrei dovuto studiare: il francese, ovviamente.

Era la lingua internazionale, quella parlata abitualmente sì dai nobili e dai colti ma anche dagli emigrati italiani che avevano evitato di andare in America e lavoravano duramente nei Paesi d’Oltralpe.

Allorquando, quattro soli anni dopo – passato attraverso una serie di esami di riparazione e incassata una meritatissima bocciatura – arrivai al liceo le cattedre di francese erano quasi sparite e a scuola si studiava l’inglese.

Segno dei tempi, segno del prevalere a livello internazionale degli Stati Uniti che alla esportazione e all’imposizione del ‘loro’ modo di vedere e vivere l’economia avevano subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale per anni atteso proponendo (anche, con successo, attraverso il cinema – le commedie ‘alla Doris Day’, ricordate?) l’irresistibile ‘American Way of Life’.

 

(Scrivo in un momento di malinconia, con l’amaro in bocca, e per conseguenza pongo particolare accento sul piano per molti versi meno nobile della ‘American Way of Life’, volutamente dimenticandone gli aspetti culturali e sociali, nonché l’evidente derivazione dal ‘Destino Manifesto’ del quale parlava oltre un secolo prima John O’Sullivan come dal ‘Concetto di Frontiera’ quale teorizzato da Frederick Jackson Turner agli inizi degli anni Novanta dell’Ottocento.

Su questi due argomenti invito il lettore a cercare i saggi che esaustivamente ho scritto).

 

Perché continuare a studiare il francese, si chiese – provvedendo conseguentemente – sul declinare degli anni Cinquanta giustamente (??) la scuola italiana (e non solo) quando i commerci sono oramai dominati da un’altra lingua?

Costretto in cotal modo all’apprendimento dell’idioma peraltro di William Shakespeare e di infiniti altri comunque da me amati scrittori (gli americani tra le due guerre e quelli della ‘Hard Boiled School’, soprattutto), in anni successivi, pur studiando con accanimento tutto quanto attiene agli USA, storia e società in specie, rifiutando quella che mi appariva una imposizione insopportabile, ho operato per cancellare per quanto possibile dalla memoria l’inglese.

Lo so, lo so, è una idea folle, ma ogni qual volta ne dubiti qualcosa mi dice che bene ho fatto e faccio.

Oggi – permettetemelo – il fatto che le marche automobilistiche francesi usino per le loro pubblicità slogan in lingua inglese: insopportabile!

Mauro della Porta Raffo