Una recentissima ricerca sulla origine dell’ultima glaciazione terrestre

Un ponderoso articolo strutturato in due sezioni e pubblicato il primo febbraio di quest’anno su The Journal of Geology (1a, 1b)tenta di mettere fine ad una “vexata quaestio” che si protrae da decenni  e riguarda l’origine dell’ultima glaciazione terrestre avvenuta circa 13000 anni fa.

Secondo le teorie sull’evoluzione  del nostro pianeta, l’ultima grande era glacialsi concluse circa 2,6 milioni di anni fa durante la fase finale dell’epoca geologica denominata Pliocene durante la quale si era formata la calotta artica, seguita, fino a 13.700 anni fa,dal Pleistocene che copre la prima parte del periodo attuale, il Quaternario. Durante il Pleistocene si ebbero ripetuti cicli glacialied interglaciali registrati sia in Europa che in America Settentrionale sino ad arrivare all’ultima glaciazione del nostro pianeta, dopo la quale le condizioni climatiche migliorarono. Tuttavia anche nell’epoca post-glaciale successiva, che arriva fino ad oggi, vi furono importanti variazioni climatiche come il periodo freddo tra il 900 ed il 300 a.C., quello caldo del Medioevo ( 800-1200 d.C.), la “piccola età glaciale” (1550-1850 d.C.) per finire col periodo “caldo” che dura tuttora.

Il corposo studio appena pubblicato è opera di un gruppo di 24 ricercatori dell’Università del Kansas e di altre università e laboratori guidati da  Wendy S. Wolbach, professore di geochimica alla DePaul University di Chicago, istituto fondato dai Vincenziani nel 1898 e dedicato a San Vincenzo de’ Paoli, oggi la più grande università cattolica degli U.S.A. La conclusione del loro sterminato lavoro è che circa 12.800 anni fa una cometa dal diametro di quasi 100 chilometri entrando nella nostra atmosfera, si disintegrò generando una pioggia di frammenti che ricoprirono  il 10% della superficie terrestresia nel nord e sud America che inEuropa ed Asia, corrispondente a circa dieci milioni di chilometri quadrati, che furono arsi e consumati dal fuoco distruggendo circa il 9% della biomassa terrestre. Questa stima è stata ottenuta valutando le variazioni di CO2 registrate nelle analisi chimiche degli strati di ghiaccio ottenuti da carotaggi sul ghiacciaio Taylor nell’Antartide nonché da accurate misurazioni quantitative di campioni di fuliggine e carbone da legna prelevati mediante carotaggi in 152 siti che includono sedimenti lacustri, marini e terrestri e mostrano un netto aumento di questi prodotti di combustione in corrispondenza della fine del Pleistocene. Sono state trovate concentrazioni anomale di platino in 26 siti ed anche nei ghiacci della Groenlandia che potevano formarsi solo a temperature di oltre 2000 gradi come quelle causate dall’impatto di pezzi della cometa oppure essere presenti nell’asteroide stessonotoriamente più ricco di metalli pesanti rispetto alla crosta terrestre. Inoltre in quattro carotaggi di ghiaccio nell’antartico ed in Russia, sono state rilevate polveri con elevate quantità di ammonio, un aerosol causato dalla combustione della biomassa, insieme a nitrati ed ossalati riferibili alla stessa origine. I ricercatori hanno lavorato complessivamente su 170 siti diversi incrociando i dati ottenuti da carotaggi profondi nei ghiacci e sul terreno con i dati ottenuti dallo studio dei pollini e da molti altri marcatori geochimici come i differenti rapporti isotopici in elementi trovati a diverse profondità della crosta terrestre. 

 

Gli incendi, oltre a devastare il territorio, influirono pesantemente sul clima. Man mano che le fiamme si propagavano su immense zone della superficie del nostro pianeta, il fumo e la fuliggine prodotti dalla combustione offuscavano il cielo impedendo alla luce solare di raggiungere il suolo. La conseguenza fu unprogressivo calo della temperatura che, unito alla diminuzione della azione solare sulla vegetazione, ne causò un rapido deperimento provocando mancanza di cibo per molte specie animali e la loro conseguente decimazione. L’impatto della cometa diede inizio ad un breve periodo quasi-glaciale, un “inverno da impatto” della durata dcirca mille anni, che portò ad una espansione dei ghiacciai e delle zone glaciali invertendo il precedente periodo di riscaldamento, con effetti devastanti non solo su fauna e flora ma anche sullo sviluppo del genere umano.Quando la temperatura ricominciò a salire e tutto l’ecosistema a riprendere vita, pochi animali di grandi dimensioni erano sopravvissuti ed alcune specie, come alcuni Mastodonti, erano scomparse. L’impatto sui nostri presunti progenitori fu sicuramente disastroso causando morte e migrazioni: si suppone che la misteriosa civiltà preistorica Clovisdal nome della località in Messico dove negli anni trenta del secolo scorso furono trovati dei reperti databili a circa 13500 anni fa, costituita da abitanti paleo-indiani insediati nel Nord America e la cui presenza è testimoniata dal ritrovamento di lance rastremate in punta spesso conficcate in resti animali, ne risultò decimata fino apparentemente ad estinguersi. L’analisi di campioni di pollini della stessa epoca dimostra che le foreste di conifere erano state consumate dal fuoco e le aree desertificate si erano successivamente ripopolate con la formazione di boschi di pioppi.L’immensa mole di lavoro ed i risultati ottenuti hanno convinto il team di ricerca ad ipotizzare che, con ragionevole probabilità,lepisodio  di abbassamento termico chiamato Dryas recente, dal nome del fiore della tundra Camedrio Alpino (Dryas octopetala)resistente al gelosi può spiegare solo considerando, come causa iniziale scatenante, un impatto di tipo cosmicoSi ritiene che gli incendi e la conseguente glaciazione causata dalla disintegrazione della cometa sia stata più devastante per l’ecosistema terrestre dell’ impatto distruttivo dell’asteroide che 66 milioni di anni fa aveva portato all’estinzione dei dinosauri.

Precedentemente molti studiosi avevano, seppure con molti dubbi,attribuito invece l’insorgere del Dryas recente ad un rallentamento del capovolgimento meridionale della circolazione della corrente oceanica Atlantica (AMOCAtlantic Meridional OverturningCirculation). L’AMOC è di fondamentale importanza nella regolazione del clima planetario e le sue variazioni possono disturbare pesantemente il nostro sistema climaticoA sua volta l’ipotesi dell’impatto era stata già proposta da altri ricercatori negli ultimi decenni, ad esempio grazie al ritrovamento di quantità anomale di Iridio in strati geologici del Nord America risalenti a circa 11.000 anni a.C. con valori molto superiori a quelli normali di questo elemento sulla terraPoiché i meteoriti contengono elevate concentrazioni di Iridioi dati supportavano la caduta al suolo di oggetti provenienti dallo spazioma le prove sperimentali da loro fornite, avevano lasciato un ampio margine di incertezza sulle conclusioni finali. 

Forse un nesso con l’impatto della cometa avvenuto 13.000 anni fa si può trovare, secondo alcuni studiosi, nelle misteriose figurazioni scolpite nella pietra portate alla luce nel 1995 dall’archeologo tedesco Klaus Schmidt, nel sito archeologico di Göbekli Tepe, in Turchia, un altopiano roccioso a circa 15 chilometri dalla città di Sanliurfa, l’antica Edessavicino al confine con la Siria. Il sitoattualmente esplorato in modo parzialein quanto all’epoca abbandonato, forse a causa di violenti cambiamenti climatici, e sepolto sotto spessi strati terra probabilmente per preservarlo, è il più antico santuario monumentale megalitico esistente. La datazione col radiocarbonio lo fa risalire, per alcune parti, all’ 11.000 a.C.quindi alla fine o poco dopo la Dryas recente, cioè circa 5.000 anni prima del complesso di Stonehenge in Inghilterra ed oltre 7.000 anni prima delle più antiche ziqqurat sumere delle piramidi della civiltà egizia. Una stele, chiamata “dell’avvoltoio” è stata particolarmente studiata ed interpretata da due ricercatori dell’Università di Edimburgo (2) in quanto contiene deibassorilievi che rimandano, mediante raffigurazioni zoomorfe, ad una rappresentazione indiretta di costellaziondella loro posizione nel cielo. Mediante specifici programmi di calcolo relativi alla volta celeste, è stato possibile dimostrare che le stelle si trovavano nella posizione corrispondente a quella rappresentata in modo simbolico sulla stele, nel 10.950±250 anni a.C., cioè una datazione molto vicina a quella ottenuta col metodo del radiocarbonio. Altri bassorilievi mostrano la caduta dal cielo dioggetti cosmici, vi è poi rappresentata la figura di un uomo privo della testa che si pensa possa significare un disastro umanitariocon vittime causate da fenomeni di impatto dallo spazio. Tutto ciò, secondo gli autori della ricerca che sono tuttavia ben consapevoli del carattere altamente speculativo delle loro ipotesi,confermerebbe, unitamente alla già citata anomalia dell’iridio, che la dibattuta teoria dell’impatto cosmico come causa del periodo glaciale Dryas recente è la spiegazione corretta. I simboli presenti sulla pietra, perfettamente conservati e risalenti all’epoca storica corrispondente, ammessa corretta la loro decifrazione, lo descrivono con affidabile precisione e l’intento che portò alla costruzione del santuario di pietra ebbe tra le altre funzioni,secondo gli autori dello studio, anche quello di ricordare quell’evento catastrofico che aveva avuto sicuramente unenorme influenza sullo sviluppo della cultura locale.

Il Dryas recente è considerato da antropologi ed archeologi il periodo dal quale ha inizio la civiltà umana, con la comparsa delle prime popolazioni agricole stanziali e la conseguente costruzione dei primi villaggi neolitici e lo sviluppo delle coltivazioni mentre, per gli ufologi e gli appassionati di fantascienza, l’impatto delle comete ha azzerato presunte civiltà precedenti di cui non resta più traccia.

Francesco Cappellani

1a. Wendy S. Wolbach et al. “Exstraordinary Biomass-BurningEpisode and Impact Winter Triggered by the Younger DryasCosmic Impact   ̴12,800 Years Ago. 1: Ice Cores and Glaciers”. The Journal of Geology 2018; 000 DOI 10.1086/695703

1bWendy S. Wolbach et al. “Exstraordinary Biomass-BurningEpisode and Impact Winter Triggered by the Younger DryasCosmic Impact   ̴12,800 Years Ago. 2: Lake, Marine, and Terestrial Sediments”. The Journal of Geology 2018; 000 DOI 10.1086/695704

2. Martin B. Sweatman and Dimitrios Tsikritsis “DecodingGöbekli Tepe with archeoastronomywhat does the fox say ?”Mediterranean Archaeolgy and Archaeometry, Vol.17, n.1, 2017