I profitti corrono, ma i salari restano al palo

Nell’ormai lontano 2004 Luigi Zingales insieme a R.Rajan pubblicò il testo “Salvare il capitalismo dai capitalisti”.

Gli autori, quindi, davano per scontato che il modello organizzativo per produrre ricchezza fosse adeguato, mentre, invece, i suoi “applicatori” per ragioni che il testo spiega ampiamente, ma che in sostanza si possono far risalire al tema della bramosia di guadagno immediato, fossero inadeguati.

Personalmente non ho la stessa opinione e anzi sono convinto che il “baco” sia inserito strutturalmente, all’ interno della mela stessa.

Questo perché il capitalismo non è solo un modello produttivo più efficiente ma una vera ideologia che lo mette in grado di permeare l’intera società, adattandosi ai tempi, alle situazioni e agli ambiti geopolitici.

Infatti la modalità con la quale si è manifestato nel mondo occidentale nell’ultimo trentennio, cioè da quando il modello alternativo è scomparso sotto il peso delle sue contraddizioni e della non applicazione dei suoi principi, è ambivalente.

Se valutiamo i suoi effetti dal punto di vista dei profitti dobbiamo constatare che, con ogni probabilità, sta vivendo i suoi anni migliori.

Se invece consideriamo le sue ricadute in ambito sociale non possiamo che verificare che questo, contrariamente al passato, non ha generato un miglioramento nel tenore di vita e di sicurezza dei cittadini.

La realtà, quindi, è che in questa fase storica il capitalismo che ha assunto la veste della finanziarizzazione dell’economia, così profittevole per pochi, genera stagnazione ed arretramento delle condizioni di vita per la gran parte di tutti gli abitanti della Terra.

Se poi allarghiamo gli orizzonti anche al grande escluso nel conflitto tra capitale e lavoro, ovvero il nostro pianeta, constatiamo che la vittoria del capitale sul lavoro, non fa che accelerare i cambiamenti climatici, aumentare i rischi ambientali e accrescere l’inquinamento che minacciano il futuro della terra e di tutti i suoi abitanti.

La conseguenza dei profitti elevati e troppo concentrati è l’instabilità, la crescita debole, il dissennato consumo di risorse non rinnovabili, l’aumento delle disuguaglianze di rendita e patrimonio e il disinteresse per il futuro.

E’ questa, probabilmente, la più grande differenza rispetto al passato: l’orizzonte limitato al brevissimo periodo, l’”adessismo” della finanza, la mancanza di approfondimento, la superficialità degli approcci e la velocità con la quale si deve generare il profitto, incurante delle ricadute future.

Del resto Z.Bauman ha sottolineato che la risorsa più scarso del nostro tempo non è il denaro, ma l’attenzione alle persone, alle cose, alle situazioni e alle loro interazioni.

Di qui discende la bassa propensione agli investimenti a favore di tutti i portatori di interessi, non solo dei proprietari e degli azionisti di maggioranza; perché investire ed innovare in modo socialmente sostenibile, significa ritardare il momento in cui si incassano i profitti e si gode delle rendite.

Incuranti del fatto che investire e innovare a vantaggio di tutti significa preservare il nostro futuro e costruire uno sviluppo sostenibile ed inclusivo, ovvero puntare al progresso.

Risulta pertanto sorprendente che in quasi ogni angolo del pianeta, il ceto politico continui a sostenere, a dimostrazione della prevalenza culturale dell’ideologia neoliberista, la competizione a chi riduce maggiormente la tassazione sui profitti, penalizzando, invece, gli investimenti, l’innovazione incrementale e la distribuzione della ricchezza generata.

Il capitalismo è certamente un modo più efficiente di produrre, ma come è ampiamente dimostrato, non è sicuramente il modo più efficace di gestire le sue ricadute sulle relazioni sociali e sui contesti ambientali.

La sfida è ancora aperta e la ricerca di modalità produttive che non facciano esclusivo ricorso al profitto ad ogni costo, ad algoritmi proprietari, ad intelligenza artificiale e che siano meno discriminanti e più inclusive, in grado, poi, di integrare l’antiteticità di efficienza ed efficacia deve essere portata avanti da tutti coloro che

hanno a cuore benessere diffuso, equità e sostenibilità ambientale e sociale, nellaconvinzione che la storia non è finita nel 1989.

Luigi Pastore