Prima che salti il tappo

Barbera e Champagne, stasera beviam per colpa del mio amor, per colpa del tuo amor, ai nostri dolor insieme brindiam col tuo bicchiere di Barbera, col mio bicchiere di Champagne”.

Sono passati quasi cinquant’anni da quando il Signor G incantava i cabaret e i teatri meneghini con le sue indimenticabili “note alcoliche”, nelle quali il Barbera e lo Champagne si accompagnavano in una meravigliosa, malinconica melodia.

Noi italiani abbiamo da sempre, con i nostri “cugini” francesi, un curioso – e corrisposto – rapporto di amore/odio, che finisce spesso per sfociare in aperta, colorata rivalità.

L’arte, la cultura, il mare, il cibo, i vini, la moda sono tutti “momenti” della vita nei quali ci riteniamo reciprocamente, fieramente superiori gli uni sugli altri.

Vuoi per sciovinismo culturale, vuoi per intima, sincera persuasione, ho sempre ritenuto tutti i prodotti della nostra tanto vituperata Italia superiori rispetto a quelli della controparte transalpina.

Non cambierei mai, infatti, Roma con Parigi, Valentino con Chanel, la caciotta toscana con il camembert, la michetta milanese con la baguette o il Nero d’Avola con il Fleur de Gay.

I francesi sanno vendere molto meglio di noi i loro prodotti.

Li valorizzano, li esaltano, li esportano a costo di risultare arrogantemente antipatici.

Al nostro Paese non mancherebbe niente per competere ad armi più che pari e attrarre le orde di turisti e stranieri che, ogni anno, invadono Parigi, la Camargue e la Borgogna, tanto per fare degli esempi.

Tutto quanto di bello può vantare la Francia, in misura pari o superiore, lo abbiamo anche noi.

Tutto, tranne lo Champagne.

Ah, lo Champagne!

Ci sono pochi (o forse nessun) prodotti al mondo in grado di rendere una regione geografica un brand, un’icona internazionale amata e ambita ai quattro angoli del globo.

Mi sono sempre chiesto perché molte persone ricordino perfettamente la maison di provenienza del primo Champagne che abbiano assaggiato, magari anche solo un bicchiere tanti anni prima, e facciano più fatica, invece, a ricordare il vino – bianco o rosso che sia – con cui hanno pasteggiato solo poche sere prima.

Una risposta univoca, probabilmente, non esiste, ma credo che la ragione di fondo vada ricercata nel fatto che la bollicina francese “scuote” inconsapevolmente qualcosa nel profondo di ciascuno di noi, qualcosa in grado di suscitare sensazioni gustative uniche, che restano impresse nella memoria.

Ciò che ancor più sorprende, nell’amore che tutto il mondo nutre per questo straordinario prodotto della terra e dell’arte umana, è che lo Champagne propriamente detto, in realtà, non esiste!

In Francia, difatti, sono attive circa novemilasettecento etichette danno vita al proprio vino spumante, prodotto seguendo un metodo rigorosamente codificato e all’interno di una zona geograficamente ben delimitata, la Champagne, per l’appunto.

Essere innamorati dello Champagne, allora, non significa esserlo di un determinato tipo di vino, di un tale marchio o di un brand, quanto, piuttosto, amare romanticamente un certo di tipo gusto nonché, e forse soprattutto, un concetto, un’idea.

Quell’idea di una vita da sogno, da mille e una notte che, inevitabilmente, le bollicine francesi sono in grado di evocare in chiunque vi si approcci.

Questo anche perché lo Champagne ha costruito la propria fortuna, il proprio mito nell’immaginario collettivo, promuovendosi come il vino della festa e dei ricchi.

A questa immagine patinata hanno contribuito le centinaia di citazioni letterarie, gli aneddoti, il cinema, le uscite pubbliche di personaggi celebri.

Il modo così diffuso e penetrante con cui il brand Champagne si è diffuso nella cultura pop di tutto il mondo è ancor più sorprendente se si pensa che, narra la tradizione, il vino frizzante delle campagne francesi sarebbe nato quale prodotto economico grazie al genio dell’abate Dom Perignon dell’abbazia di Hautvilliers.

E’ quasi pleonastico sottolineare che, oggi, il Dom Perignon è considerato lo Champagne per antonomasia, il preferito del James Bond targato Sean Connery e di innumerevoli altri personaggi partoriti dalla fantasia di scrittori, sceneggiatori e registi cinematografici.

Se, dunque, lo Champagne come prodotto unico, standardizzato, non esiste, ma esistono gli Champagne, ognuno con un proprio gusto, una propria peculiarità, una propria storia, si rafforza l’imperita e inesperta idea del sottoscritto (mero gustatore e amatore occasionale), per cui bevendo Champagne ci si accosta non tanto e non solo a un magnifico prodotto dell’industria viticola, quanto piuttosto a un concetto, a un’idea, a un mito.

Citando indirettamente ancora una volta il grande Giorgio Gaber che, nel 1972, in “Un’idea” cantava che quest’ultima è solo un’astrazione e che poter mangiare un’idea sarebbe equivalso a fare una rivoluzione, mi vien da pensare che, forse, un’idea non possiamo mangiarla, ma berla sì, e non è rivoluzione da poco.

Prima che salti il tappo, dunque, si alzino i calici: lo Champagne non esiste?!

Evviva lo Champagne!

Edoardo Quiriconi