Piero Chiara visto da Piero Chiara: “Testimone diretto”

Da ‘Sale&Tabacchi’, Corriere del Ticino, 1976

“Come quel medico che scoprì i primi vaccini, il quale provava su di sé gli innesti, io sono tale scrittore che prova la vita su di sé prima di raccontarla.

L’ho provata su di me in tante situazioni, in vari mestieri, in molti luoghi, in momenti di tranquillità e in epoche fortunose.

I miei libri sono quindi un’immagine del mondo presa da vari punti di vista da un uomo di umile origine e di pochi studi, ma attento alla vita e testimone diretto, se non addirittura protagonista, delle sue storie.

Dico ‘pochi studi’ in rapporto a ciò che avrei voluto conoscere, perché in verità ho studiato tutta la vita, cioè ho molto riflettuto su alcuni libri fondamentali, su alcune personalità e sul alcuni fatti che ho giudicato essenziali.

Fin da ragazzo ho letto e riletto il Decameron fermandomi per anni sulle prime novelle che scoprii in un’antologia scolastica, quella di Martellino e quella di Chichibio…

Il Decameron mi ha occupato tanto, costringendomi a fermarmi man mano che lo leggevo, che le ultime novelle le ho lette solo qualche anno fa.

Lo stesso potrei dire, o quasi, della Vita di Benvenuto Cellini o di altri testi minori, come per esempio del Belcari…

Il Satiricon di Petronio Arbitro fu una scoperta della mia gioventù che mi accompagnò tutta la vita al pari del Lazarillo del Tormes.

Il Bandello fu un’altra delle mie passioni.

Il Manzoni è tuttora per me un continuo oggetto di studio e di riflessione.

Mi interessò moltissimo il Nievo.

Altri, di poco conto, scoperti in giovane età, mi colpirono fortemente: fra questi il De Amicis, che poi mi disgustò.

Erano pur sempre imprese narrative, e mi impegnavo a correggerle e a raddrizzarle secondo il mio gusto.

Ho letto con grande passione i romanzieri francesi e russi dell’Ottocento, in particolare Balzac, Flaubert, Dostojevskij e Gogol.

Poi Conrad, Stevenson e Melville. Anche Jack London.

Ma c’è stata una schiera di scrittori involontari che ho preso in considerazione durante gli anni nei quali ho lavorato nell’amministrazione della giustizia: quella dei marescialli dei carabinieri.

Ho letto migliaia di verbali nei quali uomini semplici e pieni del senso della realtà si studiavano di riferire i fatti nel modo più chiaro possibile.

I marescialli dei carabinieri non facevano riflessioni né si abbandonavano a introspezioni psicologiche: riferivano puramente e semplicemente.

Mi sono capitati sotto gli occhi dei piccoli capolavori di narrativa, dai quali ho imparato a raccontare vedendo nella mente i fatti come in un film e studiandomi di tradurli in parole semplici e precise”.

Mauro della Porta Raffo