Padroneggiare le nuove tecnologie per non esserne sopraffatti

In un futuro non lontano saranno le tecnologie digitali e la gestione dei dati (advanced analytics) a governare la quasi totalità dei processi e questi rivoluzioneranno le attività produttive.

Questo perché le rivoluzioni industriali sono dei veri cambi di paradigma che segnano la storia, trasformano l’economia, i sistemi di governo, i rapporti sociali, i valori di riferimento, gli atteggiamenti e i comportamenti collettivi.

Determinano nel loro procedere sconfitti (molti) e vincitori (pochi) e segnano profondamente i destini di tutti, con ricadute che potranno essere enormi sia nel comparto occupazionale che nella redistribuzione delle risorse.

Oggi siamo agli albori della quarta rivoluzione industriale che come quelle che l’hanno preceduta, muterà gi scenari; per cui dovremo chiederci in che direzione si muoverà lo sviluppo, chi ne deciderà le sorti, in che comparti e con che modalità, quando e con che rischi sistemici, con che dividendi sociali e con che ritorni e per chi e infine per quanto tempo potrà durare.

Per ora possiamo solo formulare ipotesi, quello che però è già certo è che c’è una differenza significativa tra le precedenti e questa: le precedenti rivoluzioni industriali hanno avuto tempi lenti che hanno permesso agli individui che, come ci ha insegnato Maslow, non vogliono cambiare e che privilegiano le sicurezze all’incertezza delle trasformazioni, di adattarsi con il tempo.

Oggi, invece, la rivoluzione digitale con la sua accelerazione tecnologica procede a ritmi frenetici e impone cambiamenti rapidi e innovative strategie comportamentali che spaventano e riducono le capacità di comprensione e valutazione oggettiva degli scenari evolutivi.

Le molte incertezze e le inedite problematiche connesse non possono essere esorcizzate con il suo rifiuto perché le rivoluzioni non si possono arrestare; possiamo però scegliere se subirla, o governarla, con la consapevolezza che se saremo vittime saranno molti i perdenti e il mondo che ne uscirà potrebbe essere molto peggiore del procedente, con pauperizzazioni massicce, scomparsa di posti di lavoro, crescita delle disuguaglianze, tensioni crescenti e dubbi sulla tenuta democratica delle nazioni.

Per essere certi che la quarta rivoluzione industriale determini un mondo migliore e che le trasformazioni in atto accrescano la dignità degli individui, la salvaguardia del Pianeta e delle sue risorse naturali, con società più inclusive e tolleranti, sarà indispensabile intervenire per governare i processi e le trasformazioni, impedendo la privatizzazione dei dati e delle informazioni, per sottoporle ad un controllo collettivo e democratico che eviti una logica di pura ricerca di profitto a vantaggio di pochi.

Tutto questo per fare in modo che la tecnologia possa essere indirizzata verso tutte quelle attività che riducono l’impiego delle materie prime non rinnovabili (aria ed acqua in primo luogo), annulli l’utilizzo di sostanze inquinanti e individui processi in grado di impiegare efficacemente l’ energia, prodotta in modo sostenibile, nella residenzialità, produzione e mobilità.

Quindi sarà indispensabile interrogarsi sui percorsi da individuare per garantire che la rivoluzione tecnologica riduca i gap di reddito, di cultura, di salute ed emancipazione, invece di accentuarli.

Si individuino e costruiscano sistemi di protezione sociale per governare le trasformazioni del mercato del lavoro e la sostituzione degli uomini con gli automi e gli algoritmi, incentivando attività che riducano la routinarietà delle attività e diano più spazio a lavori basati su creatività, immaginazione e relazione che gli altri individui.

Dovranno essere definite strategie opportune per impedire la dicotomia tra libertà individuale e benessere economico e tra la garanzia della partecipazione democratica senza che la capacità di influenza delle nuove tecnologie la condizioni.

Occorrerà, ancora più che in passato, una politica industriale in grado di interpretare questi scenari ed indirizzarli nella direzione di favorire l’interesse collettivo piuttosto che gli appetiti di profitto dei pochi protagonisti in possesso delle tecnologie che governano i processi.

Ci vorrà anche una differente politica educativa e formativa che ipotizzi nuovi percorsi scolastici ed accademici ed adegui i suoi programmi; perché è un’inutile spreco di risorse preparare studenti e/o lavoratori che alla fine del ciclo di studi, o di percorsi formativi si pongano la retorica domanda”ed ora che faccio”.

Infatti la conoscenza e la scolarità elevata non dovranno avere come obiettivo solo il miglioramento della condizione economico/sociale dei singoli, grazie all’individuazione di nuove opportunità lavorative (quindi essere uno strumento), ma, parafrasando Kant (l’uomo!) diventare un vero fine.

Perché conoscere da la possibilità di capire e quindi di decidere consapevolmente del proprio futuro per poter transitare in un percorso emancipativo da consumatore succube, a consum-attore, a cittadino cosciente.

La lista delle problematiche è molto lunga e ognuno degli elementi individuati necessita di analisi approfondite, riflessioni critiche, competenze e capacità elevate e valori comuni condivisi.

Quello che è certo, però, è che nessun paese può vincere da solo, perché le forze in campo sono potenti e globali; ne tanto meno pensare di evitare il progresso e la modernità alzando barriere che illudono di proteggerci dall’invivibile e dall’ingovernabile e di consolarci dall’imprevedibile e dall’inevitabile; non può che essere la cooperazione e la certezza di un comune destino la stella polare di riferimento per affrontare la complessità dei fenomeni in atto.

Ancora una volta un ruolo determinante, per noi europei, deve essere esercitato dall’Unione Europea che deve, però, uscire dai suoi egoismi e dalle sue contraddizioni, aprendosi ad una nuova governance determinata dai popoli e non dagli interessi, privi di orizzonte futuro, dei suoi miopi governanti e di classi dirigenti non all’altezza delle sfide che ci attendono.

Luigi Pastore