Manoscritti e inediti di Gabriele D’Annunzio

Affrontare e illustrare la personalità complessa e fascinosa di Gabriele d’Annunzio (1863-1938) in poche righe attraverso le numerose testimonianze manoscritte, i cimeli, le opere a stampa e la bibliografia che ho riunito in quasi quarant’anni di ricerche e di approfondimenti, è opera immane.

Mi limiterò ad alcuni cenni ed esemplificazioni.

Fu poeta, drammaturgo, romanziere, novelliere, diarista, giornalista, accanito corrispondente in innumerevoli carteggi, uomo politico, uomo d’arme combattente, costituzio­nalista, esteta e chi più ne ha…

Una figura giustamente definita come ‘inimi­tabile’ ma di arduo approccio se si vuole penetrarne in modo completo la personalità senza scadere nell’agiografia o nella stroncatura: tenendo sempre presente che in ogni sua manifestazione egli fu, fondamentalmente, sempre e solo un poeta.

 

Mi sono avvicinato occasionalmente a d’Annunzio sui banchi del liceo, frequentato a Lugano tra il 1960 e il 1964, ma non attraverso le lezioni di letteratura, bensì quelle di storia gestite da quel grande docente — per chiarezza e sintesi — che fu Giuseppe Martinola, quando ci parlò in modo appassionante dell’impresa, anzi dell’epopea di Fiume (1919-1921), che vide il poeta quale protagonista e, forse, ultimo ‘capitano di ventura’.

La mia marcia di avvicina­mento alle testimonianze manoscritte di d’Annunzio partì negli anni Settanta con l’acquisto casuale, sempre sulle bancarelle del mercatino di Lugano, di un suo libro con dedica autografa, espressa con una scrittura elegante in inchio­stro di china e con uno stile aulico inconfondibile.

Da lì crebbe l’interesse e la passione per il personaggio: acquisti e scambi sempre più frequenti e vieppiù mirati, cioè di ‘contenuto’ mi hanno condotto ad una collezione rappresen­tativa che definirei antologica, che spazia dalla sua adolescenza quale studente del famoso Collegio Cicognini di Prato (ho una sua lettera del 1879 al padre), fino ai tempi di quella che egli definiva la “turpe vecchiaia” (alcuni scritti del 1937), passando attraverso tutti i periodi della sua fecondità letteraria e della sua spericolata azione politica e bellica quale acceso patriota, nazionalista e irredentista (mai fascista e in ogni caso dichiarato antinazista).

Poi le corrispondenze con familiari (padre, madre, moglie, figli), amici, colleghi, amanti, che ne manifestano aspetti umani noti e meno noti.

E ancora il pensiero, scritto a china su un fazzoletto di seta ricamata, che sigilla l’inizio del suo legame decennale con Eleonora Duse, legame che produrrà opere immortali: “Amori et dolori, Ghísola sacra. Firenze, 10.X.1895”: una reliquia, se appena si pensa che la figlia della grande attrice distrusse quasi tutti gli scritti di d’Annunzio alla madre subito dopo la sua morte.

Preziose le diverse minute con correzioni delle liriche composte a Setti­gnano nei primissimi anni del Novecento per il primo volume delle Laudi, cestinate, poi raccolte e conservate dal suo confidente, custode e veterinario dei suoi cani e cavalli, il dottor Benigno Palmerio.

Il taccuino degli indirizzi del periodo del suo esilio in Francia (1910-1915) per sfuggire ai creditori attesta oltre quattrocento contatti con le più disparate personalità del mondo culturale di allora (Jean Cocteau, Claude Debussy, Léon Bakst, André Gide, Isadora Duncan, Robert de Montesquiou, Pietro Mascagni, Arturo Toscanini, Ildebrando Pizzetti

e molti altri ancora).

Segue il periodo di guerra (1915-1918) dove il Poeta si trasforma in Vate e combatte su terra, in mare e nell’aria perdendo un occhio e ricevendo tre medaglie d’argento e una d’oro: per quest’ultima possiedo una lettera di rivendicazione inedita indirizzata al suo superiore militare — colonnello Ernesto La Polla — il 9 agosto 1918, appena rientrato dal famoso volo pacifico su Vienna, azione da Guinness dei primati per quei tempi.

Poi l’impresa di Fiume con i suoi proclami e la Carta del Carnaro, in alcuni esemplari dedicati (a Guglielmo Marconi, a Guido Marussig). Altre dediche sul Notturno e le correzioni autografe sulle bozze di stampa del suo ultimo celebre Libro Segreto, del 1935.

Mi accorgo di dover ora porre termine ad una rassegna che sta assumendo eccessive dimensioni.

Segnalo però che metto a disposizione degli studiosi quanto possiedo di d’Annunzio, con la relativa bibliografia, mentre ho sempre trasmesso fotocopie dei miei manoscritti e autografi dannunziani agli Archi­vi del Vittoriale, con i quali intrattengo rapporti ottimali, in particolare con l’amico Presidente della Fondazione, il Prof. Giordano Bruno Guerri, illustre saggista della storia e letteratura italiana.

Giovanni Maria Staffieri