L’ombrello del ‘Piccio’

Gran nuotatore, Giovanni.
Fin dai tempi della fanciullezza, quando da Montegrino, paese natale, scendeva a piedi al lago.
L’amato Verbano.
Il Maggiore.

Di una differente acqua, del fiume, del Po, aveva dipoi, nel fluire del tempo, imparato anse e movimenti.
Ogni mutante luce.
Ogni mutante ombra.
Non per questo, saputo del continuo trascorrere dei flussi, a quella naturalezza si abbandonava mai incoscientemente.

E c’erano bagni e bagni.
Quando e se l’intenzione fosse quella di rinfrescarsi – ben ricordando il giorno in cui, avendoli persi di vista, tornato, non ne aveva trovato traccia – non allontanandosi da riva, teneva d’occhio i vestiti che, debitamente ripiegati, lasciava sul greto.
Se e quando, di contro, l’intento fosse quello della nuotata vera, libera, a tutto braccio – per quanto un qualche fastidio, aperto e rovesciato a che galleggiasse, potesse arrecargli – legava con una sagola alla caviglia un ombrello e via.
E via, stavolta seguendo la corrente.
E scendendo lungo.
Fino a trovare, a scegliere, sulla medesima sponda, un confortevole approdo dove asciugarsi e rivestirsi.

Ampio l’ombrello.
Da carrettiere.
Nel quale poggiavano le braghe, le bretelle, la camicia, il panciotto senza bottoni, il cappello, il bastone, la sacchetta dei documenti.

E accadde infine che solo il parapioggia venisse ritrovato.
Là, tra le canne.

Giorni trascorsero prima che un corpo, affiorante a valle, fosse rinvenuto.
Dalle parti di Coltaro.
Non identificabile, peraltro.
E a Giovanni comunque, nel dubbio, attribuito.

Giacciono, dopo la traslazione, quelle ossa in una cappella a Cremona.
Ossa del ‘Piccio’?
Chissà?

Di Giovanni Carnovali, detto appunto ‘Il Piccio’, del sommo pittore ottocentesco lombardo, abbiamo colà una sepoltura, un monumento, una lapide.
Non siamo certi di avere davvero i resti.

Mauro della Porta Raffo