L’Olanda chiude le sue carceri

di Léa Ducré & Margot Hemmerichda Le monde diplomatique

Contrariamente alla maggior parte dei paesi europei, l’Olanda registra una diminuzione della sua popolazione carceraria a tal punto da dover affittare i posti in prigione al Belgio o alla Norvegia.

Una buona politica di reinserimento coadiuvata dal ricorso alle pene brevi e alle sanzioni pecuniarie, o anche ad una giustizia negoziata si intrecciano ad alcune considerazioni di budget e concorrono a spiegare un simile andamento.    

Materssi ripiegati sotto le cuccette, uffici vuoti, pareti sgombre: il posto, alla prigione di Norgerhaven nel nord del Paese, non manca. Il tintinnìo del mazzo di chiavi attaccato al suo pantalone risuona, mentre Frank Hogterp, direttore del carcere, attraversa i corridoi verso la sala delle attività.

«Una volta al giorno i detenuti possono venire qui a guardare la televisione, giocare a ping pong o a cucinare », spiega.

Dovrà comunicare con loro in inglese: « Qui, non si parla norvegese.. », precisa con un sorriso.

Infatti, da settembre, le celle non occupate sono state attribuite a duecentoquarantadue prigionieri norvegesi.

Mentre fino al 2004 l’Olanda soffriva come altri paesi per la mancanza di posti nelle carceri, la sua popolazione carceraria è diminuita del quarantacinque per cento in dieci anni.

Otto istituti hanno già cambiato di destinazione d’uso e un’altra ventina dovrà chiudere entro tre anni.

In contro tendenza rispetto al resto d’Europa, dove la situazione rimane immutata, soltanto 10.500 (su 12.400) posti sono ad oggi occupati (1).

E il tasso di occupazione carceraria dovrebbe abbassarsi ulteriormente e raggiungere il 60 % nel 2018 se l’amministrazione non chiuderà altri istituti.

Dal 2009, con il pensiero alla redditività e per evitare il licenziamento del personale, il Belgio ha ricevuto una proposta dalla vicina Olanda per il sotto-trattamento carcerario dei suoi detenuti; e un accordo del tutto simile è appena stato firmato con la Norvegia per i prossimi tre anni.

Il caso olandese suggerisce che l’affollamento carcerario non è una fatalità.

D’altro canto non è facile cogliere i meccanismi che hanno portato a questa inversione di tendenza.

«Nessuno avrebbe potuto prevederlo, afferma Miranda Boone, professore di diritto penitenziario all’università di Groninga, non è il semplice risultato di una politica.»

I poteri pubblici sono essi stessi sorpresi.

Secondo Peter Hennephof, direttore degli istituti carcerari olandesi, «il governo dà come unica direttiva quella di far abbassare il tasso di criminalità e di combattere le recidive ».

Aggiunge – e questo ha la sua importanza : « …cercando nel contempo di contenere i costi il più possibile ».

Invoca a giustificazione la diminuzione della criminalità anche se non riesce a spiegarsela.

Qualsiasi tentativo per comprendere tale fenomeno risulta difficilmente sostenibile tanto la nozione di criminalità può applicarsi a differenti realtà.

« Certo, i governi amano dire che questo declino è frutto della loro politica », si diverte Norman Bishop, esperto scientifico presso il Consiglio d’Europa.

E il senso comune vorrebbe che il tasso di carcerazione dipendesse dal tasso di criminalità.

Eppure questo binomio non si verifica sempre, come si può osservare in Svezia (leggere «Successo delle libertà condizionate in Svezia »).

Sarebbe quindi, la lunga tradizione umanistica olandese all’origine di questa deflazione carceraria?

I paesi nordici sono sempre stati lodati per il successo delle loro pene detentive che non privano di libertà e limitano le recidive.

E l’Olanda è nota per aver precocemente instaurato un sistema definito di « libertà vigilata », basato non sulla punizione ma sul reinserimento.

« La storia della libertà vigilata olandese è la più antica del mondo », conferma Willem Van De Brugge, segretario generale della Confederazione europea della libertà vigilata.

Il primo servizio di questo genere è nato nel 1823, sotto forma di un istituto privato chiamato « Società olandese per il sostegno morale ai prigionieri (2) »

Questa iniziativa ispiratasi alle idee riformiste di John Howard (3), ha permesso il miglioramento delle condizioni di vita carceraria e si è sviluppata per più di un secolo senza l’intervento dello Stato.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’empatia degli intellettuali che denunciavano l’inutilità sociale delle prigioni, le diede un nuovo slancio.

Il servizio di libertà vigilata con l’obiettivo di accompagnare il delinquente nel suo rientro nella società, divenne quindi istituzione. E infine, nel 1995, la miriade di organizzazioni che si erano andate creando durante gli anni, furono raggruppate dal governo in non più di tre agenzie, efficienti ancora oggi.

La principale, Reclassering Nederland (« Servizio della libertà vigilata olandese »), è generalista : prende in carica il 60% delle persone in libertà vigilata.

Gli agenti forniscono ai magistrati dei rapporti sulla personalità del condannato per aiutarli a decidere e optare per la detenzione vera e propria o per una pena non privativa della libertà.

Supervisionano anche le misure imposte ai condannati in caso di grazia : formazione, indennizzo delle vittime, aiuto psicologico…

Infine, si occupano di lavori di interesse generale quando un giudice lo ordina.

La seconda agenzia, Stichting Verslavings- reclassering (SVG, « Agenzia per la libertà vigilata per le persone dipendenti »), si occupa di coloro che soffrono di problemi di dipendenza, circa il 30% dei sottoposti alla libertà vigilata.

Si tratta essenzialmente di consumatori di droghe o alcol che commettono furti.

« In media, ognuno viene seguito per circa due anni, spiega Barbara Kuijs, agente di libertà vigilata da cinque anni per conto di SVG, durante gli appuntamenti cerchiamo di capire la loro dipendenza e se non si aggiungano altri problemi, di solito economici. »

In generale chi si trova in regime di libertà vigilata è tuttavia sottoposto ad un obbligo di cura.

E infine, l’ultima organizzazione, l’Armata della salvezza, si consacra ai senza tetto e agli emarginati che subiscono un accumulo di difficoltà come quelle familiari, di alloggio o d’impiego.

Gli agenti della libertà vigilata agiscono anche nel carcere per limitare le uscite senza accompagnamento che possono favorire la recidiva.

 

Peter ha sperimentato su di sé tutto il ventaglio delle sanzioni esistente nel sistema penale olandese.

« Il crimine è una dipendenza  », testimonia questo vecchio detenuto che ha chiesto l’anonimato.

Questo cinquantenne dal viso segnato ricorda il suo passato di plurirecidivo con non comune sincerità : « E’ un’avventura. Si guadagna molto. Uno fa quello che vuole. Sì…era una bella vita. Bé perlomeno all’inizio. »

Tra entrate e uscite ha passato più di una decina d’anni dietro le sbarre.

Dipendente dal crack per una ventina d’anni, oggi è diventato un coach dello sport.

Uscito quattro anni fa da un programma di libertà vigilata con SVG, dice di aver chiuso con tutto.

Prima, ha conosciuto numerosi programmi destinati ai veterani della recidiva – senza risultato.

« Pensavo soltanto a uscire di prigione, ammette, e a ricominciare. » Fino a quando, un giorno, ne ha avuto abbastanza.

In quel momento, il sostegno di un consigliere per la libertà vigilata gli è stato prezioso.

Sarebbe facile pensare che oggi, come chiede il ministero della giustizia, ci sia un ritorno allo stato di grazia del dopo guerra, quando, tra il 1947 e il 1975, l’Olanda aveva adottato una politica penale contraria al tutto-carcere e aveva fatto del reinserimento dei condannati una priorità (4).

Ma alcuni elementi lasciano pensare che ci siano tutt’altre ragioni nel recente declino delle prigioni olandesi.

Le pene lavorative di interesse generale dette di « servizi alla comunità », non sono aumentate negli ultimi anni.

Al contrario : seguono da vicino la curva del tasso di carcerazione. Se ne contavano 40.000, il 30% dell’insieme delle pene date, nel 2006 ; oggi sono stabili sulle 30.000 (5).

Eppure i servizi di libertà vigilata vivono la sensazone che il loro lavoro aumenti. Infatti, da molti anni, la politica di austerità ha imposto tagli draconiani all’organico.

Il budget di 260 milioni di euro a loro destinato nel 2012 è stato ridotto di 40 milioni.

Una giornata in prigione costa allo Stato 260 euro

Allo stesso tempo non possiamo raccontare che le prigioni olandesi si svuotano perché l’Olanda ha rinunciato a rinchiudere i condannati.

Confrontato a quello dei paesi vicini, il ricorso alla carcerazione è addirittura più frequente : 23% dell’insieme delle sanzioni pronunciate contro il 15% in media in Europa.

Di contro si constata una riduzione generale della durata delle pene.

La prigione rimane la pena di riferimento per i crimini gravi e anche per le recidive – anche se per delitti minori.

Per il resto i tribunali infliggono pene brevi, cioè inferiori ad un mese, in maggior percentuale : 52 % delle sanzioni penali nel 2013 contro il 38 % nel 2005.

Inoltre vengono privilegiate anche le sanzioni finanziarie.

Si ricorre molto ai meccanismi di una « giustizia negoziata », che, dagli anni 1980, consente di evitare il processo e quindi la carcerazione.

Il procuratore ha la possibilità di proporre una transazione : se l’autore del delitto riconosce la sua colpevolezza, i procedimenti penali possono essere abbandonati in cambio di una multa. Inoltre un gran numero di effrazioni sono state ritirate dal codice della strada per essere trattate per via amministrativa.

Il ministero pubblico e la polizia possono, in tal modo, regolare direttamente anche le storie penali, comprese le infrazioni che prevedono un massimo di sei anni di carcerazione.

Infine, dal 2008, l’Olanda abbandona la transazione consentita preferendole l’« ordinanza penale imposta » : un sistema grazie al quale il ministero pubblico può imporre una sanzione che il sospetto può contestare chiedendo di passare davanti ad un giudice.

Nel 2013, 42.000 ordinanze di questo tipo sono state eseguite.

Per la maggior parte hanno imboccato la via della sanzione pecuniaria.

«Tale procedimento di giustizia negoziata presenta il vantaggio di accelerare le procedure e alleggerire lì lavoro dei tribunali, spiega Boone. L’obiettivo è che il tutto sia il più rapido possibile sia per la vittima che per l’offensore. e meno dispendioso per l’insieme della società. »

Nonostante l’indipendenza sempre richiesta dal personale giudiziario, la coerenza tra questo orientamento e la politica attuale di austerità salta agli occhi.

Una giornata in prigione costa allo Stato 260 euro.

Una giornata in libertà vigilata meno : tra gli 11 e i 50 euro, a seconda del livello di rischio e comunque resta un costo.

Certo, le sanzioni pecuniarie rappresentano un’entrata nelle casse dello Stato.

L’ammontare della cifra nel 2005 era di 673 milioni di euro fino ad arrivare, otto anni dopo, a 1050 milioni.(6).

I budget relativi a qualsiasi servizio pubblico subiscono tagli severi, ma la lotta contro la criminalità figura tra le priorità volute dal governo. In programma : aumenti per il controllo e la sorveglianza. Nelle strade, le stazioni e anche all’interno dei tram che attraversano la città, le telecamere hanno invaso il paesaggio olandese.

Nascono numerosi programmi di prevenzione della piccola delinquenza : scrutano il tasso d’assenteismo e i comportamenti asociali o « deviati » tra i giovani.

L’obiettivo è aiutarli prima che alcuni finiscano nella delinquenza vera.

Questi programmi sconfinano senza complessi in ogni dimensione della società : « La frontiera tra l’aiuto e la punizione si confonde sempre più » osserva René Van Swaaningen, professore di criminologia all’università Erasmus di Rotterdam.

Il famoso spirito di tolleranza olandese nasconde quindi « del bel piombo nelle sue ali ».

Interrogato sul genere di accoglienza che la società riserva agli ex condannati, Boone ci conferma l’ambiguità : « Ho l’abitudine di qualificare la cultura penale olandese come cultura della biforcazione », spiega la professoressa di diritto.

Da un lato la riabilitazione per coloro che hanno ancora il potenziale per diventare cittadini decenti, e dall’altra una crescente durezza verso determinati gruppi della popolazione. »

Tutto ciò trova giustificazione in una cultura profondamente calvinista, è l’opinione di Bas Vogelvang, professore di scienze politiche penali di Avans : « Siamo molto severi con coloro che commettono dei crimini. I due terzi del territorio olandese sono situati sotto il livello del mare, per lottare contro le maree, tutti devono lavorare insieme. Se un membro si marginalizza, avrà dei problemi. »

In un tale contesto, il discorso repressivo crea uno strano intreccio con la diminuzione della popolazione carceraria che suscita, all’estero, tanta ammirazione.

Il direttore degli istituti carcerari olandesi lo ammette : «E’ certamente meglio per la società avere il minor numero possibile di detenuti nelle carceri ma occorre anche rispondere adeguatamente alla richiesta di giustizia  ».

In realtà la singolarità olandese non è certo il fiore all’occhiello dell’attuale governo – nato da una coalizione tra i liberali del primo ministro Mark Rutte et i laburisti.

« Il loro scopo non è quello di ridurre la popolazione carceraria ma quello di ridurre il costo del sistema », insiste Boone.

La Haye intende risparmiare 340 milioni di euro sulle prigioni nei prossimi cinque anni e ciò corrisponde ad una riduzione del 27 % per la fine del 2018.

Perciò nel 2014, il Parlamento ha esaminato due proposte di legge che uniscono economia budgetaria e logica repressiva.

La prima prevedeva di far pagare i costi della carcerazione dai detenuti stessi e cioè 16 euro per ogni notte passata in prigione.

La seconda invece prevedeva un contributo da parte dei condannati sia alle spese di giustizia che a quelle per l’ indennizzo alle vittime. Inoltre il governo olandese, per ridurre i costi, ha annunciato che i detenuti dovranno oramai essere ben due per ogni cella (mentre prima erano celle singole).

Nel momento stesso in cui gli istituti si svuotano, il paese devia completamente dall’obiettivo che invece viene perseguito dalla maggioranza dei paesi europei da quando si sono create le prigioni moderne.

Quindi, malgrado le apparenze, la società olandese persevera nella logica repressiva, la stessa in atto in Europa fin dall’inizio degli anni 1980.

Secondo il sociologo David Garland, a quel tempo, la denuncia insistente dell’« assistentato » ha portato a rimettere in discussione il progetto di reinserimento a carico dell’istituzione penale (7).

Si è andata imponendo una nuova dottrina punitiva.

Lo testimonia, da una decina d’anni, lo scivolamento a destra del paesaggio politico.

L’aumento delle formazioni di etrema destra incoraggia lo sviluppo dei programmi legati al tema della sicurezza.

L’assassinio, nel 2002, di Pim Fortuyn, politico noto per le sue posizioni contro l’immigrazione e poi nel 2004, del regista Theo Van Gogh per mano di un islamico, hanno contribuito alla crescita dell’intolleranza.

La lotta alla delinquenza è diventata la scommessa maggiore delle campagne elettorali dopo l’ascensione folgorante del Partito per la Libertà.

Con il 15,4 % dei suffragi e 24 seggi alla Camera bassa, questo partito è diventato nel 2010 un attore-chiave della vita politica, vendendo al meglio il proprio sostegno al primo ministro liberale Mark Rutte prima di lasciarlo due anni dopo.

Nel contempo le ultime voci critiche sulla questione carceraria si sono zittite.

« L’opposizione del partito ecologista oggi tace, rileva Van Swaaningen, i liberali e il Partito democratico-cristiano temono che i propri elettori li abbandonino per il Partito per la Libertà e perciò tutti adottano una linea di severità. »

Dal 2012, i liberali hanno dato forma ad una coalizione con i laburisti ma ostentano un’intransigenza di facciata – il ministero della giustizia è stato perciò ribattezzato « ministero della sicurezza e della giustizia ».

Di fatto l’originalità olandese risiede probabilmente nel fatto che , malgrado un atteggiamento repressivo, i principali partiti non rimettono in discussione i fondamenti della politica penale.

Si accontentano di accentuare le restrizioni budgetarie.

Infatti da trent’anni l’Olanda ha adottato un modello standard della « nuova gestione pubblica ».

In tutti i campi – salute, educazione, giustizia – sono stati introdotti obiettivi cifrati e la « resa » elevata al rango di norma.

Dopo aver costruito uno Stato della provvidenza social-democratico molto potente tra gli anni 1960 e 1970, il paese oggi scivola verso un modello di Stato neoliberale all’anglosassone.

Il movimento va al cuore dei servizi pubblici penitenziari e trasforma il senso della missione dei lavoratori sociali.

« Perfino il rapporto che si redige su qualcuno è diventato un prodotto. Le sanzioni comunitarie sono diventate un prodotto. Il controllo è un prodotto», enumera Van De Brugge.

Principale rivoluzione in materia?

L’instaurarsi del principio di efficacia, il what works (« cosa funziona »), un approccio manageriale importato dal Regno Unito. Le agenzie non parlano più di « delinquenti »

E si riferiscono ai loro « clienti », classificandoli in tre categorie secondo il loro livello di pericolosità presunta.

Gli agenti della libertà vigilata debbono concentrarsi sulle persone che hanno una rendita, quelle che presentano un profilo meno radicato nella delinquenza e maggiori possibilità di un rapido reinserimento.

I professionisti del mondo giudiziario sperano, oramai, solo in un « recupero di cassa » perchè sacrificando i programmi per il reinserimento e l’accompagnamento umano che lo rende possibile, i governi corrono il rischio, dicono, di veder le prigioni riempirsi di bel nuovo…