L’economia finanziarizzata e il neo liberismo dissennato, hanno alternative

La finanza deregolata e il sistema bancario sono al centro della crisi generale che ci sta affliggendo e che incide pesantemente anche sui destini della politica stessa che per troppo tempo ne è stata succube e vassalla e non ha saputo contrastare il tramutarsi di una teoria economica in un’unica ideologia egemone.

Le banche, infatti, hanno distrutto nella loro irrazionale ricerca del profitto ad ogni costo tre ambiti valoriali.

Promo, quello legato al loro patrimonio e alle loro riserve che gli Stati hanno dovuto ricostruire con miliardi di euro dei cittadini e accrescendo i debiti pubblici e le banche stesse chiedendo aumenti di capitale agli azionisti che non sono stati finalizzati alla riorganizzazione e alla ripresa di erogazione del credito ai clienti, ma alla semplice sopravvivenza del sistema.

Il secondo patrimonio dilapidato è stato quello della reputazione e dell’autorevolezza che si fondava sull’idea di competenza connessa alla loro attività, individuata come la capacità di garantire con equilibrio le risorse che occorrono per sviluppare l’economia ed aumentare il benessere dei cittadini.

Il terzo e ultimo patrimonio disperso è quello fiduciario che era focalizzato sulla presunzione che le proposte di investimento suggerite dai banchieri sarebbero state corrette, professionali e profittevoli per investitori e banche stesse.

Tutto questo, come conseguenza di un’inebriante percorso di deregolamentazione e finanziarizzazione che invece di accelerare lo sviluppo, fornendo credito agli investimenti produttivi, ha aumentato l’instabilità, il degrado e la precarietà dei sistemi economici interconnessi, dello Stato sociale e anche dell’ambiente.

Questo scenario evidenzia la fragilità e la propensione alla sola speculazione di un sistema finanziario che non pare più essere in grado di fare da supporto all’economia, ma, unicamente, di garantire occasioni di arricchimento esagerato per pochi adepti , incuranti dell’azzardo delle loro scelte, e pauperizzazione diffusa per tutti gli altri.

Non sarà semplice invertire questo processo che da oltre venti anni, con avidità esagerata e politiche errate ha inquinato l’economia globale, ma contrastando banche e finanza che tenteranno ad impedirlo, occorrerà provarci.

Un primo passo alternativo per provare ad aumentare il credito per aziende che necessitano di capitali per crescere, potrà essere, sull’esempio dell’esperienza di Kickstarter, il diffondersi del crowdfunding, ovvero la raccolta di denaro direttamente dai cittadini, attraverso la rete.

Kickstarter, fondata nel 2009 a New York, ha finanziato, grazie alle sottoscrizioni di oltre 12,5 milioni di investitori ed individui, 350 mila progetti, di cui ben 124 mila di successo, con 4200 brevetti registrati, grazie agli oltre tre miliardi di dollari raccolti online.

L’azienda ha circa 140 dipendenti di cui oltre la metà donne e non è la classica azienda hi-tec, perché con il denaro raccolto non finanzia solo progetti innovativi e tecnologici, ma anche artisti, fornendo risorse per libri, documentari e album musicali.

Non è un caso isolato, anche se nella raccolta fondi collettiva via web e la più conosciuta e reputata, perché, due anni, fa è diventata una “public benefit corporation”che per statuto è tenuta non solo ad ottenere il profitto che è un indicatore di risultato, ma anche a valutare l’impatto sociale delle sua attività e ad agire per salvaguardare il bene collettivo.

Fa parte di quello 0,1% delle aziende statunitensi che hanno adottato questo statuto societario e che vedono nella Patagonia il suo campione più rappresentativo, con oltre 400 milioni di dollari di ricavi dalle vendite dei suoi capi di abbigliamento.

Stiamo parlando di esperienze forse marginali, ma che confermano che una diversa modalità sia di fare impresa che di finanziarla, è possibile anche nei santuari del capitalismo più finanziarizzato, deregolarizzato e rapace e se vogliamo evitare la deriva di un Mondo che con il suo ciclo economico lineare, brucia risorse non rinnovabili, aumenta le disuguaglianze, la povertà ed è a “fine corsa” , un’alternativa è percorribile; a condizione, però, di estendere l’esperienza anche in altri Paesi e non cedendo alla facile tentazione di pensare che ci sia un unico modo di vedere l’economia, contrapponendo pubblico e privato, e ritenendo il profitto il solo obiettivo della gestione aziendale.

Questo perché l’impresa è un sistema aperto anche al sociale ed uno snodo di relazioni che ha responsabilità non solo nei confronti dei proprietari ed azionisti, ma anche di tutti gli altri portatori di interessi: dai collaboratori, ai clienti, ai fornitori ed infine al territorio nel quale è inserita.

Luigi Pastore