Le stanze segrete dell’ultimo re

Di capodanni a Cascais ne abbiamo vissuti diversi mio marito ed io. Passati San Silvestro, il primo dell’anno e le feste comandate, i turisti se ne andavano, così potevamo goderci gli amici portoghesi e il rumore dell’oceano.

Ci piaceva molto quella costa lavica con le insenature sabbiose e il vento tiepido. Una volta eravamo nella spiaggia di Guincho, completamente vuota a gennaio, seduti ad un bar brasiliano, famoso per la sua cioccolata in tazza. Fredda d’estate e bollente d’inverno, fatta con l’acqua a posto del latte e con un aroma e un sapore che non si possono dimenticare.

Eravamo passati davanti alla villa dell’ultimo Re d’Italia alla Boca do Inferno e l’avevamo vista in disarmo dopo la morte di Umberto I, proseguendo oltre.

Non so dire come, ma la cioccolata ci faceva pensare con curiosità a quella dimora abbandonata. Ad un certo punto mio marito disse:

–         Vuoi scommettere che riusciamo ad entrare in Villa Italia? –

–         Sì, -dissi io- ma senza scavalcare siepi e cancelli di nascosto. –

Finita la cioccolata, in macchina, tornammo indietro verso la villa. Affacciato ad un cancelletto basso di legno, c’era un uomo sulla cinquantina con un cagnolino bianco con cui giocava, facendolo uscire di tanto in tanto.

–         Vai e chiedigli se possiamo entrare a vedere. Quando c’era il Re, migliaia d’italiani sono entrati.-

Mio marito era convinto che, siccome io parlavo un pochino di portoghese, toccasse a me l’incombenza.

–         No! – risposi decisa – non voglio fare figure. Vai tu. –

Antonio andò ed io rimasi lontana sull’altro marciapiede. Li vedevo parlare, ma non potevo sentire che cosa dicessero, finché mio marito mi fece cenno con la mano di avvicinarmi. Pensai che volesse un soccorso linguistico e non mi mossi.

Lui gridò: – Vieni, possiamo entrare. –

A quel punto mi avvicinai e l’uomo al cancelletto si presentò come Francisco Batista, custode della casa. Parlava bene inglese, ma era portoghese. Il cagnolino si chiamava Piccolino, nome italiano in onore del Re.

Non ero ansiosa di entrare, avevo visto la villa quando c’era Umberto, conosciuto per caso. C’eravamo trattenuti nel giardino, mi aveva chiesto dove fossi nata e quindi avevamo conversato su Roma. Poi mi aveva mostrato il salone al piano terra, dove riceveva gli ospiti italiani. Da una parete incombeva il ritratto di suo padre Vittorio Emanuele III, c’era anche una grande bandiera italiana con lo scudo sabaudo e varie cristalliere. Nessuna sedia, né poltroncina, segno che le visite dovevano essere brevi. Su di un tavolinetto era posta una tastiera con sei campanelli.

Poi mi congedò e mi fece accompagnare alla macchina dalla sua segretaria italiana. Italiano era anche il vecchio giardiniere che stava tagliando la siepe nel giardino con delle forbici enormi.

Per Antonio era, invece, la prima volta.

Tutto ciò che trovai in quella seconda visita, mi riempì di sgomento: il giardino era in completo abbandono, le siepi arruffate, le aiuole senza fiori, le panchine divelte o arrugginite. Nell’interno, il salone a piano terra era completamente vuoto, come pure tutte le stanze che Francisco Batista ci fece visitare, raccontandoci di chi della famiglia vi avesse soggiornato.

Non conosceva la Regina, andata via subito e mai più tornata, ricordava poco anche di Maria Gabriella e Vittorio Emanuele, perché venivano solo in visita, ma aveva visto il matrimonio di Maria Pia che si era sposata a Cascais. Della giovane Maria Beatrice, al contrario, sapeva moltissimo, del resto era l’unica ad aver vissuto a lungo con il padre. Ci disse che era magrissima e vivace, parlava perfettamente portoghese e aveva tanti amici per la sua socievolezza.

Il padre, severo, non ammetteva deroghe e le imponeva orari di rientro come alle normali ragazze della sua età, ma lei era sempre in ritardo, tanto che le furono tolte le chiavi. Riusciva, però, ugualmente, a rientrare tardi, senza che alcuno le aprisse. Penetrava di nascosto in casa attraverso una finestrella del seminterrato, che Francisco ci mostrò: era stretta e sbarrata di ferro. Ci disse che una volta c’era solo un vetro, che la principessa rompeva col tacco a spillo e, grazie alla sua statura minuta, passava agevolmente . La finestra veniva aggiustata, ma, ogni volta, quando la principessa usciva, il giorno dopo il vetro era rotto. Finché il Re se ne accorse e fece fare la piccola inferriata.

Saliti alle stanze reali, visitammo la grandissima biblioteca, che aveva contenuto tremila volumi, di cui restavano solo gli scaffali vuoti di legno, addossati alle pareti. Ne mancava uno e lo feci notare. La risposta fu che i giapponesi, che avevano comprato la villa per farne un resort di lusso, l’avevano asportato. Pensai che se avessimo potuto vedere anche la casa di Francisco Batista, forse l’avremmo trovato lì…

I libri erano stati dati in conto vendita ad una libreria antiquaria di Cascais, poi comprati da un italiano per quattro milioni di lire.

Il custode, in inglese, ci diceva tutto, mio marito era felice di quella visita, ottenuta per scommessa ed anch’io mi ero appassionata a quei racconti.

La sorpresa fu quando fui invitata ad appoggiare la mano sulla maniglia dello scaffale di fondo, il più grande e maestoso della biblioteca e a girarla spingendo. Lo feci, il mobile si mosse girando su se stesso, lasciando intravvedere, sul retro, una porta.

Francisco aprì ed entrammo in una grande stanza vuota, dove era rimasta una pulsantiera con soli tre campanelli, da un lato si vedeva l’ingresso di un bagno. Ci trovavamo nel rifugio segreto del Re, che temeva di essere ucciso, nel caso fosse scoppiata una rivolta antimonarchica e dove nessun estraneo alla casa era mai entrato. Tutte le stanze avevano le pulsantiere a sei campanelli, per chiamare il cameriere di sala, quello personale, la segretaria e così via, ma lì ce n’erano solo tre, perché solo tre erano i dipendenti a conoscenza di quel vano segreto.

Questa paura di Umberto ci colpì, ci sembrava un ambiente da film, un dettaglio che mai avremmo immaginato reale.

Tutto il resto della visita perse d’importanza, eravamo attratti solo dal capire come e perché l’ultimo Re avesse avuto un simile timore e chi avesse ideato quel rifugio tanto romanzesco.

Facemmo mille congetture.

Ora Villa Italia non esiste più, è stata sbattuta giù e al suo posto c’è un grande albergo di lusso a cinque stelle che si affaccia sulla Boca do Inferno, dove il mare ruggisce tutto l’anno.

L’unica costruzione salvata è una villa più piccola, in cui Umberto aveva dimorato al suo arrivo.

Irene Affede di Paola