La verità su un’antica espulsione

So bene che tutta la storia è stata raccontata in modo diverso, ed io non voglio entrare in dispute o diatribe che rischierebbero di essere considerate addirittura blasfeme e creare chissà quante complicazioni. Ma avrò pure il diritto di dire la verità.

E la verità è che vivevamo tutti in santa pace, felici e spensierati: i cani, i gatti, i cavalli, ed anche gli animali che più tardi sarebbero stati definiti feroci, i mammuth, i pesci, i cetacei, gli insetti, i volatili, gli invertebrati, i rettili come me, insomma l’intero mondo animale, ognun di noi badando ai casi suoi.

Si viveva in un ambiente ideale sino al giorno in cui a tutto il nostro campionario animale fu aggiunto lui, così dissimile da tutti gli altri, non solo per la forma fisica, per il fatto che essendo bipede come un uccello era evidentemente un mammifero, ma perché era perennemente inquieto: si guardava attorno come alla continua ricerca di qualcosa, osservava il cielo, borbottava, a volte gridava… insomma disturbava la quiete di tutti, poco adusi a siffatti comportamenti.

Comprendemmo i motivi di quell’agitazione quando essa improvvisamente cessò: accanto a lui era comparso un nuovo essere, la sua versione femminile.

Ecco perché egli era stato così agitato: aveva notato che gli altri avevano quella compagna di cui egli era stato per qualche giorno privo.

Forse era l’invidia che lo aveva reso per tanto tempo insopportabile. Ora cessati i suoi salti d’umore, i suoi capricci, in una parola le sue stranezze, potevamo sperare di essere tornati finalmente alla solita vita beata.

Macché: la serenità ritrovata non durò che pochi giorni e fu di nuovo turbata, questa volta da lei.

Non faceva altro che sospirare, diventare malinconica, scoppiare in pianto, mettersi improvvisamente a ridere senza alcun motivo.

Sembrò calmarsi quando si accorse di me.

Mi stavo crogiolando al sole e mi ero anche assopito quando mi sentii prendere da due mani delicate: era lei che mi appoggiò sul suo grembo, cominciò ad accarezzarmi, si inventò vari giochi, annodandomi, attorcigliandomi.

Fu così per vari giorni.

Una volta mi appese al suo collo, e corse a specchiarsi in un laghetto vicino per ammirarsi.

Insomma mi considerava un oggetto di abbigliamento o di abbellimento.

Compresi che voleva diventarmi amica.

Io non potevo rifiutarmi alle sue moine, dopo tutto non c’era nulla di male e se ne giovava la tranquillità comune, non più turbata dai suoi comportamenti balzani.

Un giorno mi accorsi che guardava con cupidigia un albero di frutta: aveva adocchiato un pomo che avrebbe voluto raccogliere: ma il ramo era troppo alto e per quanto si sforzasse non riusciva a raggiungerlo. Mi guardò come ad assicurarsi il mio ajuto, mi afferrò e mi spinse in alto sino a quando riuscii a toccare il ramo.

Compresi quel che voleva da me.

Per accontentarla mi appoggiai al ramo con tale forza da spezzarlo e cademmo per terra tutti e tre: io, il ramo ed il frutto.

Naturalmente non mi feci nulla.

Lei raccolse il pomo e lo avvicinò alle labbra.

Ricordai allora che un’antica leggenda proibiva che si mangiassero i prodotti di quell’albero, perché, si diceva, ciò avrebbe permesso a chi l’avesse fatto di distinguere il bene dal male, ma non feci in tempo a fermarla: essa aveva già dato un morso.

Dopo tutto chi crede più alle leggende e d’altronde nessuno sapeva che cos’erano il bene ed il male e dunque non c’era nulla da temere dal fare la distinzione.

Lei era già corsa da lui, gridando a squarciagola: “Adamo, Adamo, assaggia, assaggia com’è saporito”.

Adamo diede un morso ma ignoro se lui avesse apprezzato il gusto di quel frutto o l’avesse addentato soltanto per accontentarla.

Capii che ormai egli era diventato un giocattolo nelle mani di lei.

Dopo quel secondo morso successe il finimondo: si udì un boato assordante, si ebbero contemporaneamente un terremoto, un maremoto, uno tsumani, il tutto tra incessanti tuoni, lampi, fulmini ed altri raccapriccianti fenomeni naturali, ed alla fine ci ritrovammo in un paesaggio molto meno gradevole di quello nel quale eravamo vissuti. Era evidente che la nostra vita sarebbe stata un’altra e certamente meno piacevole.

Ci accorgemmo presto che era finita la pace, non solo per Adamo ed Eva, che da allora non smisero mai di battibeccare, ma per tutti noi che con quel che era avvenuto non c’entravamo per nulla.

Si stava così bene prima, era un vero e proprio paradiso terrestre, mentre ora c’è la guerra di tutti contro tutti.

Lei cercò di giustificarsi, anzi con la sua aria di santarellina disse in giro che ero stato io spingerla a mordere il pomo e ad obbligare anche Adamo al fatale assaggio, ma naturalmente sapeva benissimo che l’idea era stata sua ed era stata lei a volere che l’ajutassi.

Pensandoci bene non escluderei che tutta la pantomima che aveva fatto sin dal suo arrivo fosse stata una commedia per realizzare, scaricando la colpa su di me, lo scopo che aveva avuto sin da quando era stata messa tra noi e che era riuscita a celare sino all’ultimo: mangiare e far mangiare a quel babbeo di Adamo lo stupido pomo, inguajandoci tutti.

E poi dicono che sarei io, il serpente, la creatura più furba del creato.

Alberto Indelicato