La tutela dell’arbitro prima, durante e dopo la gara

Settembre 2016

L’arbitro è la persona alla quale è affidata la regolarità tecnica e sportiva delle gare, nella osservanza delle regole del gioco del calcio e disciplinari  vigenti (art.29 dello statuto Figc).

Per consentirgli di svolgere tale compito la legge e le carte federali stabiliscono una serie di adempimenti da parte delle società di calcio, dei comuni e delle forze dell’ordine.

Le società, secondo quanto previsto dagli artt. 62 e 65 delle norme organizzative interne della Figc, hanno il dovere di tutelare gli ufficiali di gara prima, durante e dopo lo svolgimento della partita per consentire loro di svolgere le funzioni in completa sicurezza.

Esse sono responsabili del mantenimento dell’ordine pubblico sui propri campi di gioco e del comportamento dei loro sostenitori anche su campi diversi dal proprio.

Le società ospitanti sono tenute a mettere a disposizione degli ufficiali di gara un dirigente incaricato dell’assistenza degli stessi anche dopo il termine della gara e fino a quando non abbiano lasciato il campo, salvo particolari casi che ne consiglino una più prolungata assistenza. La responsabilità di proteggere gli ufficiali di gara incombe sulla società ospitante e cessa soltanto quando i medesimi rinunciano espressamente alle relative misure fuori dal campo. Anche la società ospitata, ove le circostanze lo richiedano, deve concorrere alla protezione degli ufficiali di gara e così pure i calciatori delle due squadre, in caso di incidenti in campo, hanno tale obbligo.

Di norma le misure di sicurezza richieste a favore dell’arbitro vengono disposte dal momento in cui lo stesso entra nello stadio. Qualora, però, l’arbitro tema per la sua incolumità o perché minacciato prima dell’incontro di calcio o in quanto per raggiungere la sede della partita debba venire a contatto con il pubblico, può chiedere alla società ospitante che nei suoi confronti siano attuate tutte le misure di sicurezza per garantirgli l’accesso allo stadio. Spetterà alla società rivolgersi agli organi di polizia per la materiale predisposizione di tale servizio e per le modalità di esecuzione dello stesso.

Se attuate, tali misure precauzionali eviteranno responsabilità alle società e soprattutto danni ai direttori di gara.

Ma la tutela dell’arbitro non si esaurisce con il momento antecedente la gara. Anche prima che l’arbitro entri in campo una forma di tutela della sua persona è prevista dalla legge.

La normativa vigente in materia di impianti sportivi (D.M. 25.8.1989 e D.M. 183.1996) stabilisce che gli spogliatoi per atleti e arbitri e i relativi servizi devono essere conformi, per numero e dimensioni, ai regolamenti o alle prescrizioni del CO .Ni. e delle Federazioni Sportive Nazionali, relativi alle discipline previste nella zona di attività sportiva.

Gli spogliatoi per gli arbitri devono essere distinti per sesso.

Non meravigli tale precisazione: infatti da alcuni anni anche le donne sono entrate a far parte della categoria degli arbitri, per cui può verificarsi che la terna arbitrale sia composta da elementi di sesso diverso. In tale senso è necessario che gli spogliatoi siano distinti per sesso.

Gli spogliatoi devono essere inaccessibili agli spettatori anche per quanto riguarda i percorsi di collegamento degli stessi con l’esterno dell’impianto e con la zona delle attività sportive.

Per gli impianti all’aperto degli stadi della l.n.d., in occasione di manifestazioni calcistiche, deve essere previsto un parcheggio riservato agli automezzi a servizio degli atleti e degli arbitri, ubicato all’interno della recinzione, direttamente collegato con gli spogliatoi ed inaccessibile agli spettatori.

Tale norma riprende il contenuto della circolare del Ministero dell’interno 15-2-1951, n. 16 che all’art. 103 stabiliva, sempre al riguardo, che negli stadi doveva essere previsto uno spogliatoio per l’arbitro con buona luminosità ed areazione dotato di finestre munite di griglie e reti metalliche e poste ad altezza tale che al pubblico fosse impedita la visione all’interno.

Gli arbitri, quindi, devono accertarsi che a tale norma sia stata data attuazione, segnalando alla società o al responsabile dell’ordine pubblico eventuali deficienze.

Potrà, eventualmente, farne riferimento nel proprio rapporto di gara invitando i propri rappresentanti in seno alla federazione a segnalare le circostanze agli organi competenti.

In proposito giova ricordare che in tutte le province, ai sensi dell’alt. 80 del T.U.L.P.S., è istituita una commissione di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo, presieduta dal prefetto e di cui fa parte anche il questore, che è incaricata proprio di accertare che la normativa di sicurezza – anche le caratteristiche degli spogliatoi – sia scrupolosamente osservata.

Fino ad ora è stata considerata la tutela dell’arbitro prima della partita.

Una particolare attenzione va riservata alla tutela del direttore di gara mentre svolge il suo compito.

Di eventuali atti o gesti inconsulti dei tifosi, come è noto, è oggettivamente responsabile la società che garantisce lo svolgimento della gara attraverso la richiesta di intervento della forza pubblica. Al riguardo va precisato che l’assenza o l’insufficienza della forza pubblica impone alle società l’adozione di altre adeguate misure di sicurezza. L’arbitro, ove rilevi la completa assenza di responsabili del mantenimento dell’ordine pubblico, può non dare inizio alla gara (art. 64).

I servizi che a tal uopo vengono predisposti dalle forze di polizia non consentono, però, talvolta di evitare, che sulla testa dell’arbitro vada a finire qualche oggetto o nei casi più gravi che lo stesso sia vittima di aggressione. Ormai, però, è risaputo che gli “inconvenienti” avvengono all’interno del campo   e   soprattutto   al   termine   della   partita   quando   arbitri,   assistenti dell’arbitro, dirigenti, giocatori, etc. si avviano verso gli spogliatoi.

E’ qui che l’eccitazione, il malumore, la rabbia e tutta una serie di sentimenti provocano lavoro supplementare all’arbitro, alle forze dell’ordine, al commissario di campo, ai dirigenti delle società.

Il lavoro più faticoso e più “pericoloso” ha inizio però con la fine della partita.

E’ utile ricordare che da qualche anno, limitatamente alle gare organizzate dalla Lega Nazionale Professionisti (campionati di serie A e B, Coppe Italia), viene designato anche un guardalinee di riserva per ogni gara. Tra i compiti dello stesso, che prende posto sul campo tra le due panchine, una particolare rilevanza assume quello di prendere nota del contenuto degli striscioni offensivi o incitanti alla violenza esposti all’interno dello stadio e di segnalare nel rapporto di fine gara le manifestazioni di intemperanza dei tifosi, di cori ingiuriosi verso chiunque uditi e il lancio di corpi contundenti controllati. Tutto ciò che accade – che non rientra nei canoni della “regolarità” – è oggetto di rapporto arbitrale.

Va precisato che l’autorità dell’arbitro e l’esercizio dei poteri che gli sono conferiti iniziano dal momento in cui egli giunge nell’area comprendente il terreno di giuoco, gli spogliatoi, tutti gli impianti e locali annessi e terminano allorquando se ne sarà definitivamente allontanato. L’arbitro è tenuto comunque a  menzionare nel proprio referto qualsiasi infrazione verificatasi anche lontano dal terreno di giuoco e dalla sede della gara.

A tal punto è necessario soffermarsi su un aspetto della figura dell’arbitro: è un pubblico ufficiale oppure no?

Su questa questione dottrina e giurisprudenza non si sono uniformemente orientate.

Secondo alcuna giurisprudenza l’arbitro è da ritenersi pubblico ufficiale in quanto rappresenta una sorta di longa manus del Coni, l’ente pubblico istituito con legge 16-2-1942, n. 426, al quale lo Stato ha delegato l’organizzazione delle attività sportive. Dal momento che la Figc è organo del Coni, l’arbitro che svolge la sua attività nell’interesse e per conto della Federazione è partecipe della medesima natura pubblica e pertanto è un pubblico ufficiale. In tal senso si veda Pretura di Castelfranco Veneto, sentenza del 29-11-1985 .Tale / orientamento non è però condiviso da tutta la giurisprudenza di merito. Si ritiene, infatti, che anche ad ammettere che il Coni persegua un pubblico interesse sportivo, non altrettanto può dirsi che lo persegua l’organo tecnico realizzatore del programma dell’ente quale può considerarsi l’arbitro che è incaricato solo della direzione tecnica della gara. Né può ritenersi rilevante, al fine di qualificare l’arbitro come pubblico ufficiale, sostenere che egli non solo può emettere decisioni nei confronti dei giocatori, ma può far ricorso alla forza pubblica anche nei confronti di terzi estranei. Le forze dell’ordine, in caso di turbativa dell’ordine pubblico, possono intervenire su sollecitazione dell’arbitro ma anche di un qualsiasi privato e soprattutto di propria iniziativa (cfr. Tribunale di Foggia, 27 aprile 1962).

Peraltro la richiesta di provvedimenti relativi all’ordine pubblico è disposta dal direttore di gara di norma attraverso il dirigente della società responsabile.

Secondo altri a determinare la rilevanza pubblicistica della funzione arbitrale non sarebbe il rapporto di dipendenza, anche se indiretto tra il Coni e l’arbitro, bensì la circostanza che alla gara, di cui l’arbitro è giudice, sono riconnesse conseguenze di “scommesse o giochi riconosciuti dallo Stato” (cfr. Pretura di Genova 10-6-1961).

In tal caso però all’arbitro sono demandate funzioni di pubblico interesse che consistono nella certificazione dell’autenticità del risultato, ma che non consentono di affermare che il giudice di gara concorra a formare la volontà dello Stato (cfr. Corte di Appello, Roma, 4-6-1968).

Vero è che l’arbitrio solo mediatamente contribuisce a realizzare l’interesse pubblico perseguito dal Coni, perché il suo vero compito è quello di dirigere la partita e tale compito non può farsi risalire allo Stato (cfr. Corte di Appello, sopra citata).

In senso contrario al riconoscimento si è espressa la Suprema Corte, che j con sentenza dell’11-10-1973, n.  866, ha  affermato  che allo  stato della I normativa vigente in materia sportiva ed in relazione alla nozione di pubblico ufficiale prevista dall’alt. 357 del c.p., l’arbitro designato a dirigere una partita di calcio non può essere considerato un pubblico ufficiale.

Inoltre la dipendenza dal Coni è da ritenersi irrilevante al fine di considerare pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio chi si trovi in concreto ad esercitare una pubblica funzione o un pubblico servizio.

Infine l’interesse pubblico che si vuoi identificare nel gran numero di persone che di regola assistono agli incontri è più esattamente definibile interessamento del pubblico per questo genere di gare. Queste altro non sono che competizioni di carattere privato fra due squadre di giocatori. E l’arbitro preposto a far osservare le regole del gioco a norma del regolamento sportivo è un giudice privato investito di tali poteri per designazione dell’organismo federale che rappresenta tutte le società.

Discende da tale assunto che il direttore di gara può essere equiparato all’arbitro designato, a norma delle leggi civili, da privati cittadini per far decidere una controversia fra loro sorta. In ciò l’arbitro non svolge una pubblica funzione in quanto riceve i necessari poteri non dallo Stato bensì dal competente organo sportivo. La circostanza che egli possa infliggere punizioni o decretare espulsioni non può portare alla conclusione che i provvedimenti dello stesso assumano valore di atti amministrativi o legislativi o di sentenze penali con effetti erga omnes. In questi casi è evidente l’esercizio di una pubblica funzione, mentre le decisioni dell’arbitro rientrano nelle facoltà conferitegli dalle parti al fine del regolare svolgimento della partita.

La direzione della partita di calcio non è pertanto attività dello Stato né del Coni, bensì di un qualsiasi spettacolo, di uno spettacolo sportivo, quello calcistico, di grande interesse pubblico, giuridicamente irrilevante per lo Stato se non nei limiti dei controllo e della regolamentazione dei pubblici spettacoli.

In tal senso è la prevalente dottrina. Si veda al riguardo C. Ruggiero, “Se compete all’arbitro di una partita di calcio la qualifica di pubblico ufficiale”, anche se non mancano dissensi da parte di altri autori (cfr. PATRIZIA ENDERLE, L’arbitro di una partita di calcio è o non è pubblico ufficiale?, in “II nuovo diritto”, 1978,239; T. VINCI, Se competa all’arbitro delle partite di calcio la qualifica di pubblico ufficiale, in “II nuovo diritto”, 1961, 235; TEOBALDO VINCI, La giurisprudenza conferma che l’ arbitro è pubblico ufficiale, in “Rivista di diritto sportivo” 1960,287).

Questo diverso orientamento come si è detto non è condiviso dalla giurisprudenza di merito (si veda al riguardo la sentenza della Corte di Appello  di Bologna, sez. Il, del 7-12-1953) che dalla qualifica di pubblico ufficiale  attribuita all’arbitro fa derivare la conseguenza che chi lo ingiuria e lo percuote, cagionandogli lesioni, incorre nel reato di oltraggio  previsto dall’art. 341 c.p.

Come si vede al problema se l’arbitro sia un pubblico ufficiale o non, sono connesse rilevanti conseguenze giuridiche. Nel primo caso, infatti, la condotta tenuta nei confronti dello  stesso sarebbe sotto  l’aspetto penale qualificata più gravemente. Si pensi ai reati previsti dagli artt. 336 c.p. violenza o minaccia, 337 c.p. resistenza, 340 c.p. interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, tutti delitti commessi nei confronti di un pubblico ufficiale e puniti con la pena della reclusione o della multa.

Non va sottaciuta al riguardo la circostanza che una volta considerato l’arbitro come pubblico ufficiale nei suoi confronti troverebbero applicazione le norme relative ai delitti commessi dal pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione. Valgano come esempio i reati di cui agli artt. 328 c.p. rifiuto di atti d’ufficio. Omissione, 476, 477 e 479 c.p. falsità materiale in atti pubblici, in certificati o autorizzazioni amministrative o falsità ideologica in atti pubblici. Di conseguenza l’arbitro che riferisce sul proprio rapporto che un fatto ha avuto uno svolgimento diverso dal reale sarebbe imputabile di falso ideologico in atto pubblico e l’accertamento della sussistenza del reato spetterebbe al giudice ordinario.

Le funzioni dell’arbitro ne risulterebbero aggravate e come qualcuno ha paventato ne discenderebbe una crisi di vocazione delle giacchette nere di una volta, ora gialle, rosse, azzurre ecc., le quali non hanno certamente bisogno di essere riconosciuti pubblici ufficiali per godere di una maggiore tutela del loro prestigio e della loro dignità. La figura dell’arbitro di calcio va collocata più opportunamente nel suo mondo che è quello sportivo quale soggetto allo stesso indispensabile ed avulso da un ordinamento quale quello statale al quale non appartiene.

L’arbitro di calcio non è pertanto pubblico ufficiale e le sue decisioni non sono impugnabili dinanzi alla magistratura ordinaria. Anche dopo la sentenza della Cassazione sopra citata il giudice ordinario è stato chiamato a decidere su una denuncia per falso in atto pubblico presentata da due avvocati di Pescara alla fine del 1992 quando sul campo di Marassi venne disputata  la partita di campionato Genoa-Pescara che si concluse con la vittoria della squadra di casa per 4 a 3. Nel corso dell’incontro l’arbitro ammonì per due volte un giocatore genoano e per regolamento avrebbe dovuto espellerlo. Così non avvenne e nel referto, stilato a fine partita, il direttore di gara scrisse di aver ammonito una volta il giocatore in questione ed una volta un suo compagno di squadra. Due avvocati pescaresi,  sostenendo che l’arbitro era un pubblico ufficiale, lo denunciarono alla Procura della Repubblica per aver commesso nel suo referto finale il reato di falso in atto pubblico. A sostegno della loro tesi avevano citato un precedente giurisprudenziale sulla qualifica dell’arbitro emesso nel novembre del 1985 dal Pretore di Castelfranco Veneto. Il giudice genovese però è stato di diverso avviso, uniformandosi al dettato della Cassazione.

Resta, comunque, salva la facoltà – previa autorizzazione – di querelarsi. L’arbitro – pubblico ufficiale oppure non – che subisce un’aggressione è sempre una persona che viene lesa in un suo diritto soggettivo e sotto tale aspetto la legge penale assicura la più ampia tutela. Anche i beni di proprietà dell’arbitro vengono tutelati dalla legge. Egli può chiedere il risarcimento dei danni – sia a se stesso che alle proprie cose – che abbia eventualmente subito.

A tale riguardo è utile citare una decisione della Caf (riunione del 12-4-1985) secondo la quale la società ospitante si assume la responsabilità di eventuali danneggiamenti alla vettura dell’arbitro. Qualora, pertanto, il direttore di gara, giunto nel recinto degli spogliatoi, parcheggi l’auto in zona indicatagli da un dirigente della società ospitante e quest’ultimo, nel ricevere le chiavi del veicolo, si sia assicurato che si tratta di area di parcheggio riservata al proprio sodalizio e nell’esclusiva disponibilità dello stesso, si applicherà il principio della responsabilità oggettiva con il conseguente obbligo di risarcire al medesimo i danni subiti dalla propria autovettura.

I guai per l’arbitro non sono finiti, però, nel momento in cui rientra negli spogliatoi. Quando, infatti, il risultato non è gradito agli spettatori, si creano situazioni in cui dire che l’arbitro si trovi a disagio è eufemistico. E’ auspicabile che l’arbitro, dopo la partita, non si trovi, ad essere oggetto di contestazione. E’ notorio come per chi abbia provato tale esperienza non sia piacevole essere oggetto non tanto di improperi – a quelli gli arbitri sono abituati – quanto di atti di vero e proprio teppismo con pregiudizio della propria incolumità personale.

Spetta, anche in tale deprecata circostanza, alla società tutelare l’integrità fisica del direttore di gara.

Sia l’arbitro ad assumere l’iniziativa di chiedere la protezione delle forze di polizia qualora ritenga che la società non l’abbia già fatto o l’abbia fatto con insufficiente adeguatezza.

L’arbitro potrà fare questa richiesta rivolgendosi anche al commissario di campo. 11 commissario di campo che è un incaricato delle Leghe secondo quanto prevedono le norme statutarie (art. 68 delle norme della Figc) deve concorrere ad assistere e tutelare gli ufficiali di gara ed intervenire presso i dirigenti della società perché garantiscano il mantenimento dell’ordine pubblico.

L’arbitro in tale figura può trovare un punto di riferimento ben preciso in qualsiasi circostanza.

Non si dimentichi che il commissario può stare anche in campo e che  il suo rapporto assume rilevanza alla luce dell’accertamento della responsabilità oggettiva della Società.

L’art. 9 del codice di giustizia sportiva infatti stabilisce che le società sono oggettivamente responsabili dell’operato e del comportamento dei propri dirigenti, soci e tesserati e dell’operato e del comportamento dei propri accompagnatori e sostenitori sia sul proprio campo sia su quello delle società avversarie

Anche i Commissari speciali – che sono designati dagli organi tecnici dell’AIA – assumono un particolare rilievo nel contesto dell’assistenza agli ufficiali di gara. Essi, infatti, possono riferire alle Leghe su incidenti prima, durante e dopo la gara che vedano coinvolta la terna arbitrale, con assoluta esclusione dei fatti avvenuti sotto il diretto controllo dell’arbitro o di un guardalinee. E’ una forma di tutela dell’arbitro, seppure a posteriori, nello svolgimento della sua attività.

La tutela dell’arbitro è assicurata come si è già detto anche dai giocatori delle due squadre. Può verificarsi, infatti, il caso di aggressione del direttore di gara e dei suoi collaboratori da parte di estranei, di dirigenti ed anche degli stessi giocatori.

In tale circostanza non va dimenticato che i calciatori appartengono alla società e come tali contribuiscono al rispetto ed alla protezione degli ufficiali di gara.

Al termine della gara la società ospitante ha facoltà di mettere a disposizione dell’arbitro ed anche degli assistenti un’autovettura per consentire agli stessi di lasciare lo stadio. A tali misure di cortesia si aggiungono quelle eventualmente disposte dagli organi di polizia per la tutela della incolumità personale dell’arbitro e dei suoi collaboratori e che consistono nella scorta dell’autovettura fino al momento in cui è venuta a cessare ogni possibilità di pericolo da parte di malintenzionati.

La tutela dell’arbitro quale persona fisica a questo punto si esaurisce.

I commenti degli organi di stampa e di informazione radiotelevisiva sull’operato dell’arbitro costituiscono un aspetto che attiene ad una diversa forma di tutela.

A tali commenti non si sottrae neppure il giudice ordinario.

Significativa al riguardo è la sentenza della Pretura penale di Perugia in  data 23 dicembre 1981 secondo cui “Ai tifosi di una squadra di calcio che al termine di una partita perduta in casa hanno aggredito le forze dell’ordine schierate davanti agli spogliatoi dello stadio a tutela dell’incolumità della terna arbitrale e della squadra ospite, colpendo agenti con sassi, pietre ed altri oggetti contundenti e danneggiando automezzi della polizia, vanno concesse le attenuanti generiche in considerazione dello stato d’animo di esasperazione determinato da un arbitraggio costellato di grossolani errori tecnici, reiteratisi per tutto l’arco della gara e punteggiato da atteggiamenti plateali ed irritanti nei confronti del pubblico, non confacenti al decoro e alla dignità della classe arbitrale”. La sentenza è di condanna non dei tifosi ma dell’arbitro.

Di un’ulteriore forma di tutela gode l’arbitro dopo la gara. Secondo l’art. 3  comma primo del Codice di Giustizia Sportiva a tutti i soggetti dell’ordinamento federale è Tatto divieto di esprimere pubblicamente giudizi o rilievi lesivi della reputazione di altre persone o di altri organismi operanti nell’ambito federale.

Tali fattispecie si possono verificare sia al termine della partita quando l’arbitro sta lasciando il campo di gioco per recarsi nello spogliatoio sia successivamente a mezzo di dichiarazioni o interviste rese agli organi di informazione. Possono, infatti, essere espressi giudizi lesivi della reputazione dell’arbitro, i quali risultino o dal referto dello stesso arbitro o anche da uno dei suoi collaboratori oppure siano riportati dagli organi di informazione.

Nel primo caso la circostanza, qualora si tratti di frasi ingiuriose ed irriguardose, sarà oggetto di valutazione da parte del Giudice Sportivo che irrogherà le conseguenti sanzioni. Nel secondo caso sarà la Procura Federale a deferire al Tribunale Federale Nazionale per i campionati e le competizioni di livello nazionale oppure al Tribunale Federale Territoriale per i campionati e le competizioni di  livello territoriale i dirigenti o i tesserati che si siano resi colpevoli della violazione prevista dall’art 3, comma1, del C.G.S.

Tale organo giudicherà in prima istanza e se riconoscerà che sono stati espressi giudizi lesivi sulla reputazione del direttore di gara, infliggerà una delle sanzioni previste dall’ari. 9, secondo la natura e la gravità dei fatti commessi.

Umberto Calandrella