Jeans, primo ed ultimo feticcio

Quei LEVI’S fuori tempo

In ‘Sentieri selvaggi’

 

Rivedere addosso a Vera Miles in ‘Sentieri selvaggi’ un paio di LeVI’S mi ha fatto sobbalzare per due ragioni: la prima è che per un jeansomane come il sottoscritto è ormai molto difficile scorgere marche storiche nei film ad ancor meno in TV, salvo rare riprese d’archivio datate; la seconda che, fatto un breve controllo di date, ambientazione del film 1868, anno d’inizio produzione della LeVI’S 1873 (non sono Pico della Mirandola, chiunque può verificare questa data, se li indossa o li ha in casa, all’interno stampigliata sulla tasca), ho colto in fallo il costumista che nel 1956 per le riprese forse ha trovato comodo procurarsene un paio senza badare alla discordanza di tempi.

Tanto più che quelli di Vera Miles erano nuovi fiammanti come se appena acquistati da Macy’s, nemmeno una strisciata di lavaggio, rain-washed o di usura nella polvere e nelle intemperie della Monument Valley.

A proposito, se non avete questa stampigliatura all’interno potete gettare i vostri pseudo-LeVI’S perché non sono originali, oppure qualcuno ha sostituito per riparazione l’interno delle tasche manomettendo l’originalità del capo.

 

Chiariamo subito un dettaglio, che dettaglio non è perché è costato molto all’azienda.

Fino ad ora ho scritto LeVI’S con ‘e’ minuscola.

Il logo cucito in bianco sulla etichetta rossa posteriore in origine era LEVI’S quindi con la E maiuscola.

Successivamente la famiglia Rica LEWIS francese produttrice degli omonimi jeans fece causa alla LEVI’S per rischio di confusione sul mercato.

Dopo procedura legale venne concordato che a partire dal 1972 la marca LeVI’S si dovesse scrivere con la ‘e’ minuscola.

Stronzata, perché la confusione rimane.

 

Quindi chi ne possiede ancora, avendo avuto la fortuna o l’accortezza di conservarli, con la E maiuscola, li riponga con cura, hanno un grande valore collezionistico, tanto più se per caso nuovi!

In effetti intorno al 1994 l’azienda, probabilmente grazie ad un accordo con la Rica Lewis, è stata autorizzata ad una limited edition con Big E, di buon valore comunque, ma non pari a quello fabbricato prima del 1972.

 

Sono convinto che il jeans rappresenti la più grande rivoluzione nel campo dell’abbigliamento.

Altro che la minigonna!

Questa ha avuto periodi di alterna fortuna.

A parte l’idea di una lunghezza provocatoria e di rottura della tradizione, non ha un grande contenuto tecnico/creativo.

Il jeans, indumento caratterizzato dalla sua forma senza funzione specifica né da un marchio di fabbrica, una non-invenzione che non ha potuto in sé esser brevettata se non nelle variazioni essenzialmente decorative e non funzionali applicate delle diverse case per distinguere i marchi, ha avuto, ha ed avrà un storia di mercato della quale allo stato attuale non si intravede la fine.

Il sistema delle misure lo rende facile da indossare e la variabilità della lunghezza è un dato accettato dal consumatore, oltre al valore di simbolo acquisito nelle varie epoche ed alla praticità di uso.

 

Dopo il periodo dell’infanzia del jeans con l’apertura della patta anteriore a bottoni, l’utilizzo da parte dei cercatori d’oro consigliò l’applicazione dello zip.

Vi immaginate questi poveri lavoratori in dure circostanze ambientali costretti in tutta fretta a sbottonare tutta la serie e frugare all’interno.

La cerniera è stata per loro una benedizione.

E lo è anche per noi.

 

L’apertura a bottoni venne abbandonata anche per gli alti costi di manodopera.

L’applicazione dello zip è più rapida per una fabbricazione industrializzata.

Oggi grazie alla delocalizzazione in paesi a basso costo di manodopera tornano i bottoni ed altri dettagli abbandonati per i costi (es. numero passanti cintura, ecc).

Anche per l’abbigliamento in genere.

 

Tornando alle esigenze fisiologiche dei cercatori d’oro, da BOCCIARE tutte le case che di recente hanno reinserito i bottoni sotto la patta con un surplus di operazioni obbligate che rendono più complessa e lunga la procedura di preparazione in situazioni d’emergenza.

Il tutto vien condito oggi dal roboante termine sartorialità, in sostanza: siccome la manodopera in certi paesi costa poco, offrono operazioni di fabbricazione e finizione artigianali costose ormai abbandonate da decenni che negli anni cinquanta/sessanta si potevano ottenere dai sarti su misura.

Non parliamo poi della vita bassa ancor più penalizzante per un normodotato, figurarsi per chi ha apparati idraulici di misura Large ed oltre.

 

Leggenda jeans.

Per i francesi inguaribili nazionalisti: leggenda ‘denim’.

Non ho autorità né  profonda cultura, non sta a me dirimere la diatriba tra le due correnti di interpretazione storica sull’origine del jeans=gene’s (di Genova) o denim-di Nimes sulla quale i francesi insistono.

Ma sta di fatto che, secondo un articolo a firma Luciano Verre apparso tempo fa su Gente “I jeans sono nati in Italia. A Genova esattamente nel 1567, come riporta l’autorevole Oxford English Dictionary … Su questa data di nascita concordano anche molti libri ancora oggi reperibili a Genova”.

Nell’articolo tuttavia si riconosce che il tessuto era fabbricato a Nimes.

 

Usati délavé rappezzati strappati, a festoni nude-look, a zampa d’elefante, a sigaro, alla cavallerizza, rigati a colori USA verticali (edizione speciale LeVI’S 1973).

Dal giovane bavarese Levi-Strauss e le sue tele da tenda infradiciate d’indigo fino ai più folli creatori di moda oggi, il denim ha vissuto mille rivoluzioni.

E si è appiccicato a tutte le epoche e tutte le tribù.

Extra fashion con piume e paillettes (stylisti perversi), pionieri in salopette (Lee), western o style rodeo (Wrangler e il meno noto Doogie’s), biker bardato di cuoio (Marlon Brando, James Dean) rocker, hippy, rapper.

Ancora di questi tempi nuove griffes parvenues, ops sconosciute, cavalcando lo stesso pantalone con poche semplici innovazioni di dettagli, ma conservandone struttura, assemblaggio, sistema e cuciture di colore, in poche parole il segreto del jeans, riescono a penetrare con successo in un mercato pesantemente inflazionato e condizionato dalla crisi globale.

Qualsiasi nome nella moda, nuovo o già affermato che si affacci sul mercato, non può prescindere dal capo jeans.

Anche un superclassico tradizionalmente legato ad una immagine raffinata e formale come Armani ha ‘accettato’ di entrare in questo mondo.

 

“IL MIO UNICO RIMPIANTO? Non aver inventato il jeans”,  Yves Saint-Laurent

 

Epopea dell’indaco

Il percorso della vita del jeans: dal primo lavaggio rituale al trionfo dell’indaco

 

Possiedo una piccola collezione di jeans d’epoca (very vintage anni ’50, non quelli strafrusti acquistati per qualche centesimo, poi taroccati e pesantemente prezzati dagli stilisti d’oggi).

Un esempio per intenderci: LEVI’S ante 1972 ancora Big E.

Va da sé che li ho tutti: un Big E acquistato da Macy’s,  proprio intorno al 1956; ed altri due della limited edition, uno usato e l’altro nuovo.

Oltre a Lee e Wrangler e qualche altra marca minore.

Unico cruccio: mi manca Doogie’s uno splendido prodotto, stile rodeo, tessuto robustissimo, sicuramente made in USA, acquistato (purtroppo non da me) a Roma.

Inspiegabilmente ed ingiustamente scomparso dal mercato all’inizio anni ’60.

Sarei disponibile a fare una follia per averlo.

Ndr: chi mi legge se rovistando negli armadi dei nonni (nonni, non genitori) ne trovasse, può contattarmi a carluccio.re.it@gmail.com

 

L’aspetto délavé dei jeans non si ottiene con costose procedure contro natura cause di un controsenso: il nuovo costa meno dell’usato, ma semplicemente ‘vivendoci’ dentro, strusciandosi contro pareti, alberi, rocce magari facendo l’amore con la morosa.

A quei tempi nei rituali di appropriazione dell’indumento l’unica operazione non naturale era una sorta di battesimo, prendere un bagno in mare con indosso i jeans e farseli asciugare addosso per ottenere l’adattamento della forma e della misura (allora erano ancora pre-shrunk).

Una seconda pelle, con vantaggi anche in termini di look sexy.

Il fenomeno del restringimento, oggi superato per motivi pratici di facilitazione della vendita, rappresentò anche uno slogan “shrink to feet” della LEVI’S.

 

Secondo leggenda così facevano pure i cercatori d’oro.

Nei fiumi, ovviamente, e qui il sesso non c’entrava affatto.

Cosa invece certamente non fatta da Vera Miles prima della scena incriminata  per l’errore storico.

Avesse provveduto sarebbe stata lei più credibile e l’errore meno vistoso, le sue scarse forme avrebbero acquistato un rilievo più gustoso.

 

Dopo il rito d’iniziazione non si sarebbe mai più accettato un lavaggio con comprensibili inconvenienti di ordine e igiene, e di convivenza per i genitori duramente dissenzienti.

 

Primo ed ultimo feticcio i blue-jeans, simbolo di sogni ancor oggi non del tutto sopiti.

Gli anni ’50 quando alcuni amici privilegiati riuscirono ad avere gli originali grazie a conoscenti nelle grandi città.

Le spedizioni al porto di Genova dove tra imitazioni si potevano trovare con occhio esperto ed attento esame quelli autentici.

Poi, finalmente, cugini americani che mi mandarono un paio di Levi’s Big E, adesso reliquia.

 

Oggi, come sempre e come domani, i jeans sono un’emozione legata alla gioventù del dopo guerra quando si beveva la cultura americana.

Mix di films western, rock ‘nd roll e blue jeans, come si diceva allora.

Provo ancora il piacere di cercarli nell’illusione di trovare gli originali (ormai tecnicamente impossibile nel senso completo del termine, perché le produzioni delle case americane si sono delocalizzate); rinnovare la sensazione d’intravvederli in vetrina o, ancor più eccitante, appesi alle aste di un gazebo (allora bancarella) con la grande etichetta di cartone in bella mostra applicata sulla tasca posteriore, percepire subito l’autenticità, toccarli rigidi-rigidi ancora non lavati, annusare l’inconfondibile profumo (non odore) del cotone indacato intatto.

E l’emozione stranamente diminuiva quando si possedevano per poi farsi minima quando erano indosso e ravvivarsi appena l’indaco schiariva nei punti più usati e si manifestava lo splendore dei riflessi bluastri delle tonalità d’inchiostro blue midnight.

Curiosità ansiosa di intravvedere i bordi schiarire e giocare con le ombre più scure attorno ai punti delle cuciture.

Effetto ripreso oggi dalle lavorazioni su tutti i tessuti adatti anche se non denim per accentuare lo stile délavé.

 

Non credendo ai propri occhi ed alla competenza, nel timore dell’imitazione di tessuto sempre in agguato, si grattava con carta-smeriglio finissima in un punto all’interno della cinta per constatare lo sbianchimento del cotone: prova assoluta dell’autenticità.

Quasi come oggi nelle mattine limpide cerco dalla finestra all’orizzonte il Cervino e mi rinfranco constatandone la presenza per la serie: le certezze della vita.

 

In effetti all’epoca gli specialisti di Prato e dintorni si erano immediatamente attivati con bravura ed avevano confezionato delle imitazioni abbastanza accattivanti ma vere e proprie falsificazioni (una dei Wrangler capitò a me ancora inesperto, acquistata in via Pré a Genova, storico mercatino ove si trovava di tutto, originale e tarocco).

Tra le produzioni italiane, valide al punto che non tutti si accorsero del made-in-italy (in questo caso marchio di negatività!) allora non obbligatorio per etichettatura, Roy Rogers e Rifle delle quali la prima ha avuto un grande rilancio da alcuni anni con ottime performances.

In effetti però il sottoscritto prestando attenzione alle due marche era rimasto  tra indifferenza e diffidenza pur credendo erroneamente all’origine USA.

 

Ho citato via Pré a Genova.

Erano poche le altre località dove trovare prodotti originali sicuri. Livorno, Verona, Napoli per vicinanza delle basi NATO.

Genova era adatta per il porto dove si potevano fare acquisti direttamente dai marinai americani.

Io stesso a metà degli anni ’60 acquistai da un marinaio di una portaerei USA un giaccone marine di tessuto INDISTRUTTIBILE ancora intatto e modello attualissimo oggi con regolare etichetta interna a suo nome Krumske.

Era inizio dicembre la sera e per 10.000 £ Krumske se ne tornò sulla sua barcona in maniche corte di camicia.

Avendo più o meno la stessa giovane età non rischiai accuse di adescamento.

Anche Milano/Sinigallia e Roma/Porta Portese erano valide.

Per contro ai primi tempi in generale i jeans avevano trovato poco spazio nei negozi.

La richiesta era relativamente contenuta ed il prodotto forse non considerato consono al canoni di costume.

 

I jeans non devono essere lavati, slavati, tanto meno strappati.

Il lavaggio dei jeans è una profanazione, se possibile si dovrebbe evitare in eterno (forse nemmeno Kevin Kostner in ‘Balla coi lupi’ li avrebbe lavati se li avesse avuti anziché la divisa militare e se per esigenze di audience del film non avesse dovuto mostrare il popò).

Non devono scolorire ma schiarire consumandosi, conservando la magia del filo di cotone ritorto sbiancato dall’usura in contrasto con l’intenso bleu-indaco della trama, a sua volta cromaticamente abbinato al giallo-arancio delle cuciture, che nei LeVI’S e Lee ha due sfumature a seconda della posizione.

Ed è questa la tendenza attuale di certi trattamenti in cui l’acqua non c’entra.

E’ la pietra della vita con lo struscio tra due innamorati nella sabbia, contro i muri, contro i jeans della persona amata e pure sulle rocce nelle arrampicate; e più banalmente dimenandosi sui sedili di scuola (dove per fortuna ormai da tempo sono tollerati).

E’ la pietra della vita che deve consumare i jeans.

I jeans devono essere life-stone-washed, devono portare il peso di avventure e vicende di vita del possessore che lasciano il loro segno come le macchie.

 

Ritorno alle origini quando accorciarli era un lusso o un’inutile intervento ed un vulnus: oggi ancora si rivede il risvolto in fondo, con in bella mostra la cimosa rossa indice di elevata qualità (solo nel LeVI’S e pochi altri, tra cui attuali griffes che l’hanno ripresa consapevoli del suo valore).

Questo particolare è stato raramente presente nei Lee, sostituito poi con cucitura gialla a zig-zag per chiudere lo sfilato del taglio, e non c’è nel Wrangler.

Un aiuto, perché no, in tempi di micragna a chi vuole risparmiare la spesa di accorciamento.

Ritorna prepotentemente il blue inchiostro che preannuncia l’esplosione dell’indaco alla prima usura.

Evviva questo è il vero autentico unico jeans!

Carluccio Re