Indro Montanelli

nel quindicinale della dipartita

Indro Montanelli veniva a morte il 22 luglio 2001, quindici anni fa. Un numero infinito di persone, dopo la sua dipartita, ha voluto ricordare, spesso inventandoli, momenti vissuti accanto a lui. Nell’articolo che qui ripropongo aggiornato, a suo tempo pubblicato da Il sole 24 Ore, spiego, invece, come e perché, malgrado i rapporti avuti e l’invito ricevuto, io non l’abbia mai incontrato di persona.

 

Pochi giorni e, incredibilmente, saranno trascorsi quindici anni da quel 22 luglio 2001 nel quale Indro Montanelli chiuse per sempre gli occhi.

Suo grande ammiratore fin dall’infanzia (avevo letto e rileggo ancora oggi tutti suoi scritti, per fortuna raccolti in preziosi volumi), arrivai quasi a venerarlo il giorno in cui, avendogli io indirizzato una lettera per correggere alcune sue non del tutto esatte annotazioni a proposito della campagna elettorale del 1860 per la Casa Bianca condotta da Abramo Lincoln, e, nel contempo, avendogli scritto che tenesse pure per sé la mie osservazioni, me le trovai in pagina sul Corriere, nella sua mitica ‘Stanza’, con la seguente motivazione: “Visto che ho sbagliato e che molte persone (ma fosse anche solamente una) possono prendere per buono quello che ho detto, è mio dovere pubblicare i suoi giusti rilievi”.

Caso assolutamente unico, considerato che nel corso di un intero tredicennio di ‘Pignolerie’ apparse sul Foglio, nessun altro giornalista italiano, pescato in fallo (e magari infinite volte), si era prima e si è di poi comportato nel medesimo modo.

Eravamo allora nel 1998.

Due anni ancora, ed eccoci al travagliatissimo ‘dopo voto’ USA del 2000. Ricorderete senza dubbio come per George Walker Bush e Al Gore fosse determinante il responso popolare relativo alla Florida e la conseguente attribuzione dei relativi delegati.

Insieme a mille altri commentatori, Montanelli affermò allora che un caso del genere non si era mai visto in tutta la storia americana.

Purtroppo, non era affatto così: in corsa il repubblicano Rutherford Hayes e il democratico Samuel Tilden, anche nel 1876 (sebbene, non solo colà) in Florida non era stato possibile attribuire voti e delegati tanto che alla fine si dovette arrivare ad un compromesso per decidere chi dovesse sedere a White House alla scadenza del mandato a quel momento in corso.

Nuova mia lettera di precisazione dei fatti e nuova pubblicazione (era il 28 novembre appunto del 2000) da parte di Montanelli, il quale, nel dare inizio alla sua risposta, scriveva testualmente:

“Caro della Porta,

noi non ci conosciamo.

Ma quando ho visto in calce a questa lettera, e prima di leggerla, la sua firma, mi sono chiesto: ‘Oddio, quale castroneria avrò scritto per richiamare su di me l’attenzione di questo implacabile censore (di cui seguo regolarmente gli interventi sul Foglio)?

Beh, vedo che me la cavo abbastanza bene, con una lezione di Storia, cui credo di dover riconoscere il diritto allo spazio centrale di questa ‘Stanza’…”

Onoratissimo ed emozionato quasi avessi superato l’esame di laurea, telefonai immediatamente al Corriere e, pregati un po’ tutti (dal telefonista alla segretaria di direzione), mi riuscì finalmente di parlare con il segretario di Montanelli.

Già soddisfatto, chiesi a quel gentile signore di ringraziare per me di cuore Indro per le bellissime parole che mi aveva dedicato, per sentirmi rispondere “E’ qui accanto a me. Se vuole glielo passo”.

“Mi venga a trovare. L’aspetto”.

Questa – ricordo benissimo – la sua ultima frase dopo che per un tempo apparentemente infinito lo avevo inondato goffamente con un fiume di parole in libera uscita.

Meno di otto mesi dopo, al dolore per la sua scomparsa si aggiungeva quello per non avere aderito all’invito mancando quindi per sempre la possibilità di conoscerlo di persona.

Mi sono chiesto allora il perché di quel mio rimandare un incontro che, considerata l’età di Montanelli, avrei dovuto invece fissare per subito.

La risposta, incredibilmente, nel permanere nella mia memoria di una antica conversazione avuta con Piero Chiara.

Mi parlava, nell’occasione, il desso di Giuseppe Prezzolini (che, abitando in Ticino, nei suoi ultimi tempi di sua vita, gli fu amico) e del di lui centesimo compleanno caduto il 27 gennaio del 1982.

Festeggiato e a lungo intervistato, il grande intellettuale si sentì anche chiedere chi tra gli uomini di cultura italiani più giovani potesse essere considerato il suo migliore allievo.

“Montanelli, naturalmente”, fu – a quel che Chiara ebbe ad assicurarmi – la risposta, “e vivrà ancora più a lungo di me perché è più cattivo!”

E’ per questo, avendo preso in parola Prezzolini, che, essendo assolutamente certo che Indro sarebbe arrivato ben oltre i cent’anni e che di tempo ne avrei avuto in abbondanza, non mi agitai più di tanto per ottenere a breve il proposto appuntamento.

Ammesso che l’idea prezzoliniana sulla morte precoce dei buoni e quella tarda dei cattivi sia vera, devo concludere che Indro Montanelli fosse, non solo più bravo (lo penso davvero) del suo cosiddetto maestro, ma certamente più buono!