“Come nacque e come andò in edicola Il Giornale”

1974/2014 – in occasione del quarantesimo anniversario della fondazione

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“La prima redazione del “Giornale”, fu al Grand Hotel et de Milan.

Va detto che la proprietaria, signora Bertazzoni, ci mise a disposizione per una tariffa di simpatia una saletta, che , in capo a poche settimane, divenne un porto di mare di giornalisti, di scrittori, d’eccentrici e di squinternati che si proponevano per la futura redazione.

Il reclutamento avveniva in base a un solo criterio: chi bussava alla nostra porta aveva già i requisiti per varcarla.

Perché in quel momento per candidarsi ci voleva un certo coraggio: non solo perché si lasciavano carriere e stipendi sicuri per un azzardo, ma soprattutto perché affiancarsi a noi voleva dire attirarsi immediatamente l’etichetta di fascista.

Con i soldi della SPI feci i primi contratti: il fior da fiore degli inviati degli editorialisti, dei capiredattori e dei collaboratori su piazza.

A questi si aggiungevano, va da sé, i soci fondatori, ch’erano, oltre al sottoscritto, Bettiza, Gian Galeazzo Viazzi Vergani, Gianni Granzotto, Piovene, Trionfera e Cesare Zappulli.

Per tutti valga quel che disse Di Bella: “ Montanelli se n’è andato dal Corriere portandosi via l’argenteria di famiglia”.

Ai primi del ’74 ci insediammo nel palazzo di piazza Cavour…

Purtroppo erano disponibili soltanto quattro stanze più uno sgabuzzino.

Così una parte della redazione s’accampò lì.

Un’altra nel palazzo sotto il cinema Cavour e un’altra ancora al numero 444 di via Manzoni.

La redazione culturale in pratica s’acquartierò nell’appartamento di Guido Piovene in piazza Belgioioso…

A Roma, invece, Zappulli riuscì a scovare in piazza di Pietra, a due passi dal Palazzo, un appartamento tappezzato di specchi ch’era sicuramente più adatto ad un’alcova che alla redazione di un giornale.

Furono mesi pionieristici, indimenticabili.

Scrivevamo seduti sulle cassette rovesciate.

L’amministrazione la teneva un certo colonnello Laganga la cui tirchieria rimase leggendaria …

Il numero 0 de "Il Giornale" con gli autografi dei fondatori
Il numero 0 de “Il Giornale” con gli autografi dei fondatori

E arrivò il fatidico 24 giugno 1974.

Di quel giorno ricordo un caos indescrivibile.

Naturalmente, dopo tante prove e riprove, nulla andò per il verso giusto.

Bettiza portò in redazione, come talismano, Monica Guerritore …

Ma Zappulli, napoletano fino alle midolla, non si contentò di quel portafortuna.

Convocò Sebastiano Mele, il capo degli autisti, e gl’intimò di reperire un busto di san Gennaro.

Mele strabuzzò gli occhi: “ E dovve lo trovvo a Milano un san Gennaro?” scandì con la sua inequivocabile cadenza sarda.

“Trovalo e basta. Non si può dare inizio ad una nuova impresa senza san Gennaro” sentenziò Zappulli.

Nessuno seppe mai come Mele riuscì a procurarselo, ma di lì a un paio d’ore un busto del santo fu depositato sulla mia scrivania dove stavo cercando di stendere il fondo.

Invano. Perché Zappulli cominciò a dirmi che l’esorcismo non era completo senza “ ‘nu stuorto” un gobbo, cui doveva seguire un prete con l’acqua santa e poi degli zampognari che …

Lo buttai fuori dall’ufficio.

Il gobbo, però, arrivò per davvero.

Era un notaio amico di Zappulli che si prestò con grande sense of humour a quella bisogna.

E a una cert’ora giunse anche il prete, don Alessandro Maggiolini…

Forse avrei dovuto dar retta a Zappulli anche sugli zampognari, perché alle nove di sera, con tutta la redazione assiepata in tipografia per licenziare la prima edizione,il capo redattore Leopoldo Sofisti inciampò nell’intrico dei fili volanti di cui i due fattorini Campanella e Macchi, improvvisatisi elettricisti, avevano disseminato la redazione, piombandoci nell’oscurità.

Per di più, quando alla chiusura non mancava che un pezzo, il linotipista che si precipitava verso di me urlando “Direttore! Ecco l’ultimo!” perdette l’equilibrio e il “salame” gli sfuggì di mano.

Il “salame” era il testo d’un articolo composto da righe di piombo legate assieme con lo spago.

Una volta messo sul bancone del tipografo, lo si slegava, e le righe venivano disposte secondo l’impaginazione.

Andò tutto all’aria e dovettero ricomporlo.

Come Dio volle, uscimmo in edicola.

Bella, la prima pagina non lo era di certo.

Era una colata di piombo grigio, un po’ per eccesso di tradizionalismo, un po’ perché s’era voluto fare sfoggio delle firme più prestigiose ch’erano il biglietto da visita del giornale.

Persino il “Controcorrente”, il corsivo fulminante che sarebbe diventato una delle caratteristiche del Giornale, era moscio.

Eppure tirammo duecentotrentamila copie e andarono a ruba…”

da ‘Soltanto un giornalista’, testimonianza resa a Tiziana Abate da Indro Montanelli, Rizzoli editore