Il film della mia vita è quello di quando mio padre e mio zio tiravano con la pistola, sugli stipiti della porta e io che avevo sei anni dovevo vedere chi aveva centrato il buco dell’altro.
E mia madre si innervosiva e non voleva.
Però mio zio mi portava con lui pure a caccia e quella volta che insistette aveva il cane malato, la povera Dea, e io dovetti correre nelle zolle a far volare le quaglie e lui mi sparava sopra la testa.
Eppure ci volevamo tutti tanto bene e la sera io andavo a vedere la tivi da mio zio che non era sposato.
Ma era dentista e faceva il primario di stomatologia all’ospedale.
E la sera si preparava le operazioni del giorno dopo.
Ed era tutto buio e io arrivavo e vedevo solo un teschio, che era quello che lui aveva tutto disegnato con una penna a china.
Una luce fioca illuminava il teschio.
E io andavo a dormire e avevo paura.
Ma non come quella sera quando lui era andato a dormire ed io ero rimasto solo, per vedere un film che era in bianco e nero e mi metteva perciò pure più paura.
’Nosferatu’ di Dreier.
Non mi ricordo come si scrive.
Ma ne venni paralizzato, non riuscivo per la paura più a muovermi.
Un giovane andava quieto a casa del vampiro e non si accorgeva di quanto era cattivo e soprattutto potente.
Ogni ombra accendeva nella stanza un essere sopito che avanzava ormai fuori della tivi verso di me.
E cosa accadde dopo e come ne uscii io non lo voglio dire.
Ma fu quello uno dei film della mia vita.
A cui devo uno degli esperimenti più preziosi.
E mio padre poi mi portava in barca ma una volta ero caduto in acqua, e però non avevo avuto paura.
E il raffreddarsi della vita, la luna nera che ci rovina.
Non ci fosse il sole.
Ma non lo avrei visto così splendente senza quel bianco e nero ed un’educazione non solo cinematografica, molto virile.
Geminello Alvi