Il Comunismo in America

“L’America ha sempre ignorato il comunismo delle masse, ma conobbe un comunismo di infiltrazione che in certe epoche raggiunse gli organi superiori dello Stato.

Il principio di questa cancrena (sic) si può datare facilmente: l’inizio dell’era roosveltiana, l’invasione delle agenzie del New Deal da parte di giovani intellettuali che, dinanzi a una crisi economica devastatrice, avevano concluso con la condanna del capitalismo…”

 

Raymond Cartier, ‘Le cinquanta Americhe’

 

 

 

William Zebulon Foster,

un comunista in corsa per White House

 

 

 

Per quanto la cosa possa sembrare strana o addirittura impossibile, negli Stati Uniti, fin dal 1919, anno della fondazione, esiste ed opera, tra alti e bassi e spesso semiclandestinamente, il Partito Comunista Americano.

Nato classicamente a seguito di una scissione dal Partito Socialista, il CPUSA (Communist Party of the United States of America) ha avuto nel tempo qualche seguito tra i lavoratori e, almeno nei primi anni Trenta, un notevole successo tra gli intellettuali.

Il suo massimo esponente fu William Zebulon Foster che arrivò in tre diverse occasioni a candidarsi per la Casa Bianca.

Originario del Massachusetts dove era venuto al mondo nel 1881, Foster fu dapprima apprendista presso uno scultore per poi trascorrere tre anni in mare e passare quindi a nuove, diverse esperienze lavorative nell’industria.

Membro del Partito Socialista dal 1901, guidò con successo la sindacalizzazione dei lavoratori dei mattatoi di Chicago e, dopo avere preso parte al cruento sciopero generale dell’acciaio del 1919, entrò nel 1921 nel Partito Comunista diventandone segretario di lì a due anni.

Nel 1924 propose per la prima volta la propria candidatura a White House ottenendo peraltro pochissime migliaia di voti nelle elezioni novembrine.

Nuovamente in corsa nel 1928 pressappoco con gli stessi risultati, dopo il crollo di Wall Street e l’inizio della Grande Depressione, nel 1932, si ripresentò in alternativa e in contrapposizione al presidente uscente repubblicano Herbert Hoover, allo sfidante democratico Franklin Delano Roosevelt e al suo ex compagno socialista Norman Thomas.

Appoggiato dal grande critico letterario Edmund Wilson, Foster, per l’occasione, poté contare sull’adesione di buona parte dei più noti ed autorevoli intellettuali americani.

Il manifesto ‘Culture and Crisis’ che per raccogliere consensi alla sua impresa stilò di sua mano Wilson fu infatti firmato, tra gli altri, da Sherwood Anderson, Erskine Caldwell, Malcolm Cowley, Countee Callen, John Dos Passos, Langston Hughes, Grace Lumpkin, Sidney Hook e Lincoln Steffens.

Malgrado la passione, il grande sforzo organizzativo e gli altisonanti nomi dei suoi sostenitori, benché il ‘clima’ conseguente alla drammatica situazione economica e sociale fosse teoricamente a lui favorevole, nell’occasione, William Zebulon Foster raccolse solamente centoseimila voti popolari e dovette riporre per sempre le sue aspirazioni alla presidenza.

Accusato nel 1948, in piena ‘Caccia alle streghe’, di cospirazione politica e attività sovversiva, riuscì ad evitare il processo.

Fedele, malgrado tutto, a Stalin anche dopo la sua dipartita, morì a Mosca nel 1961.

Usciva così, definitivamente, di scena, in volontario esilio, l’unico comunista americano che avesse davvero pensato di conquistare la Casa Bianca.

Mauro della Porta Raffo