Il cinema e l’automobile

Il dilemma per chi si occupi del rapporto automobili-cinema è principalmente uno: partiamo dalla macchina o dal film? In entrambi i casi si rischia di avere un repertorio di possibilità, modelli e visioni talmente vasto da rasentare l’infinito. Le automobili appartengono all’orizzonte iconico della storia del cinema fin dalle origini, se si pensa – ad esempio – alle comiche dei Keystone Cops degli anni 10 del secolo scorso, dove spesso le gag ruotano attorno agli inseguimenti di auto o mini van “aperti” (modelli da lavoro della Ford). Per restringere il campo è forse preferibile procedere per modelli di macchine: un censimento di correnti, autori e generi della settima arte che abbia come spunto l’auto, la sua presenza e la sua importanza. Cominciamo da noi, dalla narrazione che attraverso l’automobile il cinema italiano ha fatto del paese “motorizzato”…

AURELIA – Nel 1953 Luigi Comencini gira Pane amore e fantasia, forse il primo blockbuster italiano (incassò 1 miliardo e mezzo di lire solo in Italia). Tre anni dopo Dino Risi realizza Poveri ma belli: i due registi, destinati a diventare con Mario Monicelli alfieri della nostra commedia, intercettano i gusti del folto pubblico italiano elaborando forme e contenuti del neorealismo in un’ottica più popolare. In entrambi i film le automobili sono pochissime. Addirittura in Pane amore e fantasia il marescallo dei carabinieri Antonio Carotenuto (Vittorio De Sica) presta servizio in bicicletta, il mezzo di locomozione più diffuso fino a quel momento. Meno di dieci anni dopo, nel 1962, esce nelle sale Il sorpasso di Dino Risi, e sembra davvero che ci sia stata una rivoluzione nell’immaginario, prima ancora che nella storia del costume. Il film racconta del viaggio da Roma alla Versilia sull’Aurelia (intesa come strada statale) di un quarantenne brillante ma cialtrone, Vittorio Gassman, insieme a un riservato studente di giurisprudenza, Jean-Louis Trintignant. Nel corso di una sola giornata ai due accadrà di tutto, ma a noi interessa non tanto il senso della loro avventura quanto il “terzo” punto di vista, che è appunto quello dell’automobile. Gassman sfreccia infatti con una Lancia Aurelia B24 Sport, modello disegnato da Pininfarina, nei primi anni 60 una specie di status symbol non soltanto nel Belpaese, ma ad esempio in Francia e Gran Bretagna. Cosa diavolo era successo tra la bicicletta degli anni 50 e la Lancia spider dei primi 60? Quel fenomeno socio-economico denominato Boom: un’esplosione di benessere alla fine più effimero che reale (già dal 1964 si comincia a parlare di “congiuntura”, intendendo un periodo di crisi economica che in verità si rivelerà praticamente infinito…) che però ha nell’automobile (dalla Fiat 600 in su) il suo punto di riferimento. Poco prima che fosse inaugurata l’Autostrada del Sole, Dino Risi intuisce quanto il legame degli italiani con l’automobile in fondo “ci racconti”, attraverso gag rimaste memorabili. Legame poi ribadito in altre opere del cineasta, ad esempio nel sottovalutato Il giovedì (1964) dove lo spiantato genitore interpretato da Walter Chiari si danna per avere un macchinone americano così da fare bella figura con il figlio che non vede da un bel po’. Una curiosità. A un certo punto di Il sorpassoGassman dice a proposito dell’autore più in voga del momento: «Bel regista Antonioni, c’ha un Flaminia Zagato…». Il film è sceneggiato con Ettore Scola e Ruggero Maccari, ma la battuta è Dino Risi al 100% perché il sommo Michelangelo, cineasta di «quell’altra cosa, che va di moda oggi… l’alienazione», non gli era tanto simpatico con i suoi filmoni, i suoi paroloni, e poi sotto sotto c’aveva la Lancia fuoriserie da “sborone” come Bruno Cortona. Apoteosi.

FURIA – Cambiamo scenario. Stati Uniti d’America. Un po’ meno a rallentatore il Boom Usa, aiutato anche dalla conversione dell’industria di guerradegli anni 40. Nel decennio successivo l’automobile è già in modo massiccio “bene comune” della classe media. I Fifties americani sono quelli di Happy Days, un periodo di spensieratezza e crescita economica che pare non debba finire mai. Lo scrittore Stephen King, da sempre abituato a riflettere su riti e miti culturali del proprio paese, pubblica nel 1983 un romanzo intitolato Christine, storia di un ragazzo nerd (di quelli un po’ sfortunati presi di mira dai bulli della scuola) che trova una vecchia Plymouth Fury del 1957 conciata e pronta per la rottamazione e la sistema. L’auto però ha un che di demoniaco e instaura con il ragazzo una simbiosi micidiale. Il libro diventa un film, Christine – La macchina infernale, realizzato lo stesso anno da John Carpenter. Il quale “tradisce” la fonte letteraria modificando l’incipit. Non più, come nel romanzo, incentrato sul ragazzo ma da subito sulla macchina, osservata sin dalla nascita in catena di montaggio, dove rompe la mano di un operaio che l’ha trattata male. La Plymouth Fury è anche una delle automobili che sfrecciano per le strade di American Graffiti di George Lucas (1971) benché le principali, simboli del film, siano una Chevrolet Impala del 1958 e una Ford Thunderbird (la cosiddetta T-Bird) del 1955, comunque coeva della Fury. Sia Carpenter che Lucas prendono in considerazione modelli di automobili fortemente connotati, legati a una fase particolare della storia americana ma anche della loro personale (il futuro regista di Star Wars negli anni 60 aveva una T-Bird), che si inseriscono da un punto di vista narrativo in una fase particolare della vita dei protagonisti, il passaggio dall’adolescenza alla maturità, con l’automobile che diventa simbolo giovanile di emancipazione. E di ribellione, va da sé. Non ci scordiamo che il riferimento principale del cinema giovanile americano degli anni 50 è Gioventù bruciata di Nicholas Ray in particolare per la celebre scena della gara di macchine tra James Dean e il suo rivale interpretato da Corey Allen. Dean guida un’automobile da quel momento leggendaria – la Mercury Series 9CM Six-Passenger Coupe – e la sequenza in questione è talmente entrata nella cultura di massa (non solo a stelle e strisce) da essere citata in canzoni di Bruce Springsteen quali Racing in the Street (qui diventa una Chevy del 1969) e Cadillac Ranch(esplicitamente citato, «James Dean in that Mercury ’49») e in una miriade infinita di altri film. A margine, va ricordato che proprio negli anni 50 si diffonde negli Stati Uniti (ma pochissimo in Europa) il cosiddetto Drive In, modalità di visione pubblica del cinema che di fatto è un parcheggio con amplificatori dove lo spettatore guarda il film standosene comodamente seduto in macchina. Quale migliore sintesi del rapporto indissolubile tra cinema e automobile?

ASTON MARTIN – Se l’automobile può essere legata al concetto di glamour, obbligatorio aprire una parentesi su James Bond. I 24 film della serie ufficiale più un apocrifo (l’ottimo Mai dire mai con Sean Connery, 1983) sono praticamente un catalogo di belle macchine. A partire dalla più celebre, l’Aston Martin DB usata da 007 in Goldfinger (1964), Thunderball (1965) e poi “riesumata” in GoldenEye (1996) e Skyfall (2012). Di fatto lanciò il marchio al di fuori del Regno Unito e della cerchia di appassionati di auto sportive diventando tra le più celebri degli anni 60, anche in questo caso un vero e proprio status symbol. Ian Fleming, lo scrittore che inventò il personaggio, lo aveva dotato a dire il vero di una Bentley Mark IV che si vede anche in due film, Dalla Russia con amore (1963) e il già citato Mai dire mai. Ma la quattro ruote preferita da Bond resta l’Aston Martin di cui ha usato vari modelli. In Zona pericolo (1987) la splendida V8 Vantage Volante, in La morte può attendere (2002) la V12 Vanquish, in Casinò Royale (2006) la DBS V12 e in Spectre (2016) la DB10. In Al servizio segreto di Sua Maestà (1969) Bond usa una Aston Martin DBS V8, la stessa di Roger Moore nel telefilm Attenti a quei due, utilizzata anche per sfidare il rivale/amico Tony Curtis per le tortuose strade della Costa Azzurra, l’americano su una Ferrari Dino 246 GT. Proprio con Moore nei panni di 007 la celebre auto inglese scompare per un po’ dai film, sostituita dalla Lotus. Quella mitica capace di trasformarsi in sommergibile in La spia che mi amava (1977, modello Esprit S1) e quella corazzata di Solo per i tuoi occhi (1981, modello Esprit Turbo 1). Pierce Brosnan si converte alla BMW (una superaccessoriata Z3) sin dal suo primo 007, GoldenEye; la sponsorizzazione del marchio tedesco del brand cinematografico più famoso e longevo di tutti avviene soprattutto per motivi di marketing, dato che coincide con l’acquisizione di due marche tipicamente british, Rolls Royce e Mini. James Bond ha anche guidato un’automobile italiana: in Octopussy (1983) requisisce infatti una Alfa Romeo GTV 6 che usa per la fuga sulle strade tedesche. 

WALT DISNEY – Il pensiero corre immediatamente alla serie animata Cars, quella di Saetta McQueen giunta alla terza puntata. Ma facciamo un passo indietro. Non esisterebbe Topolino e neanche una delle più potenti major di Hollywood, la Walt Disney Company, senza un’automobile, la vecchia Ford che Disney e suo fratello Roy vendettero perché servivano soldi per concludere la produzione di Steamboat Willie, cortometraggio con Topolino protagonista realizzato da Walt insieme a Ub Iwerks. Correva l’anno 1928, e parliamo del primo cartone animato della storia con sonoro sincronizzato. Dopo il successo di Mickey Mouse succede di tutto, ma l’epopea di Disney corre parallela alla sua passione per le quattro ruote (in particolare per una Oldsmobile 98 Deluxe). Due anni dopo la morte del creatore, la Disney produce un film non animato interamente dedicato a un’automobile: Un maggiolino tutto matto (1968). Storia di Herbie, un maggiolino Volkswagen “con un’anima” coinvolto in una serie di avventure da piloti pasticcioni (in particolare Jim Douglas interpretato da Dean Jones, attore specializzato in ruoli di spalla nei film live della Disney) il vero precursore di Cars, anche per il processo di serializzazione cui va incontro (in tutto sei episodi). Nel 2006 accadono due cose: la Pixar Animation Studios realizza Cars – Motori ruggenti e viene acquistata dalla Walt Disney Company, che fino a quel momento si era limitata a distribuirne i film senza produrli. A capo della società specializzata in animazione digitale resta John Lasseter, anche autore del film, al quale viene l’idea di un’avventura con le “macchinine” dopo un viaggio in camper con la famiglia sulla mitica Route 66, la strada che va da Chicago alla California dove sfrecciarono i centauri di Easy Rider. In Cars – Motori ruggentiuna giovane auto da corsa, Saetta McQueen, sogna di vincere la Piston Cup e si prepara alla gara. Suoi diretti rivali sono Chick Hicks, una Buick Regal, e Strip The King, una Plymouth Superbird. Ogni personaggio del film si ispira a un’auto esistente con l’eccezione di Saetta, modello inventato benché tipo Mustang. Il mitico Cricchetto è un autocarro Chevrolet del 1955, Sally Carrera una Porsche Carrera 911, Ramon una Chevrolet BelAir Lowride del 1951, Fillmore un Volkswagen Trasporter un po’ hippie e Luigi una Fiat 500 (quella originale). Nell’ultima scena del film compare una Ferrari F430 doppiata (in originale) da Michael Schumacher, che all’epoca era solo un prototipo. Cars – Motori ruggenti ha incassato nel mondo 462 milioni di dollari, ha generato due seguiti e un vero e proprio brand legato al merchandising.

McQUEEN – Non Saetta, ma Steve. Giusto dare a Cesare quel che è di Cesare. Steve McQueen è uno dei due attori (l’altro al paragrafo successivo) che maggiormente hanno legato la loro vita privata e professionale al mondo dei motori. L’auto più celebre da lui guidata è la Ford Mustang GT di Bullitt, notevole poliziesco di Peter Yates del 1968 rimasto celebre proprio per una lunga sequenza di inseguimento. La scena in cui McQueen scopre nel box la macchina è stata in anni recenti utilizzata per un spot commerciale della Ford che ha sostituito digitalmente la Mustang originale del film con la Puma oggetto della reclame. L’attore guidò in prima persona la Mustang, senza controfigura: esiste una ripresa – contenuta negli extra del dvd – che mostra il dietro le quinte con le prove dell’inseguimento in strada tra McQueen e Bill Hickman sulla Dodge. Nonostante il successo del film, o forse proprio per questo, gli studios hollywoodiani cominciarono a temere che la passione del divo per le macchine potesse essere un’arma a doppio taglio, dati i rischi che correva sui set e in pista. Per questo non si trovarono più assicurazioni disposte alle coperture, fino alla decisione di proibirgli di partecipare alla 24 Ore di Le Mans del 1970 per le riprese dell’omonimo film, pena il venire meno dei finanziamenti. Le 24 Ore di Le Mans, diretto da Lee H. Katzin, è uno dei migliori documentari sul mondo delle corse automobilistiche, con una curiosa struttura a soggetto (McQueen interpreta un pilota inventato, Michael Delaney) e segna il trionfo delle auto da gara preferite dall’attore, la Porsche 917 e la 908 di proprietà dell’attore, con la quale nel 1970 era arrivato secondo alla 12 ore di Sebring (per la cronaca, vinse Mario Andretti). Nonostante il lancio internazionale e la fama della star, il film fu un sonoro fiasco, un esperimento tecnicamente molto interessante ma destinato a non avere seguito. 

PAUL NEWMAN – La passione per le automobili e le corse nasce sul set di Indianapolis pista infernale, un filmetto del 1969 diretto da James Goldstone. Newman ha 44 anni quando viene folgorato da un mondo che conosceva appena ma comincia a dedicarsi all’automobilismo con l’entusiasmo di un ragazzino, aiutato da un coach driver d’eccezione come Bob Bondurant, già pilota di Formula 1 con un passato anche in Ferrari. «Sono stato un cattivo pugile, un deludente giocatore di football americano, di tennis, di badminton, un pessimo sciatore. Non ho mai avuto il dono della grazia nello sport. Poi un giorno ho scoperto di essere un decente pilota…» dichiara Newman all’epoca. In verità come pilota è assai più che decente. Negli anni 70 primeggerà in tutte le gare di durata, arrivando secondo alla 24 Ore di Le Mans del 1979 (in team con Rolf Stommelen e Dick Barbour) guidando una Porsche 935 e arrivando terzo alla 24 Ore di Daytona del 1995, a settant’anni, a bordo di una Ford Mustang. Nonostante un albo d’oro di gare di tutto rispetto, Newman, al contrario di McQueen, non “contaminò” così tanto il suo cinema con la passione della macchine, probabilmente a causa dell’infatuazione tardiva.

LO SQUALO – Una delle più celebri auto francesi viste su grande schermo è la mitica Citroën DS che per gli italiani appassionati di fumetti è soprattutto la macchina dell’ispettore Ginko nemico di Diabolik (il quale per la cronaca possiede invece una Jaguar Type-E, altro mezzo leggendario). La cosiddetta “squalo” ha un design formidabile e inconfondibile, creato dall’italiano Flaminio Bertoni su progetto di André Lefèbvre (i due, rivoluzionari e visionari, creeranno anche la 2CV e in precedenza la Citroën Traction Avant usata dall’Arsenio Lupin interpretato da Georges Descrières della Comédie-Française nel telefilm omonimo). La lista dei film che vedono la DS protagonista è davvero lunga, ricordiamo solo quelli che l’hanno resa particolarmente iconica, a partire dal ciclo (una trilogia) di André Hunebelle dedicato a Fantômas, il celebre ladro-assassino della letteratura francese di inizio 900. A interpretarlo, benché mascherato, è Jean Marais che però in patria anche i sassi avrebbero potuto riconoscere solo dalla voce. A dargli la caccia un tignoso poliziotto impersonato da Louis de Funès. Hunebelle sceglie il registro della commedia in un momento felice per le avventure leggere nel cinema francese (sono gli anni 60 e impazza Belmondo con il suo L’uomo di Rio), gli incassi lo premiano ma del criminale originario si perde la ferocia quasi metafisica dei vecchi feuilleton. La DS di  Fantômas è in verità guidata da uno dei più grandi piloti-cascatori di tutti i tempi: Rémy Julienne. 1967, Jean-Pierre Melville. Il maestro dirige Frank Costello faccia d’angelo, brutto titolo italiano dell’originale Le Samouraï. In una delle scene più celebri e più belle il sicario silenzioso Alain Delon forza la serratura di una DS nonostante la vicinanza di un flic, si siede alla guida, estrae centinaia di chiavi compatibili e impassibile, mentre piove e la musica di François de Roubaix rende la situazione più rarefatta e metafisica, trova quella giusta, ingrana la marcia e se ne va. In un meno noto film di spionaggio di Claude Pinoteau, L’uomo che non seppe tacere (1973), con Lino Ventura e Lea Massari, la DS è al centro di un bell’inseguimento sempre realizzato da Rémy Julienne. La Citroën DS venne scelta dal generale Charles De Gaulle come macchina presidenziale e letteralmente lo salvò durante l’attentato del 22 maggio 1962 organizzato dal gruppo fascista OAS, dal quale uscì illeso nonostante 14 proiettili avessero centrato l’auto non blindata. Di questo episodio v’è traccia nell’ottimo film di Fred Zinnemann Il giorno dello sciacallo (1973).

 

FAST AND FURIOUS – Impossibile a questo punto non occuparci di una saga “automobilistica” hollywoodiana che sta mietendo successi commerciali forse impensabiliß, quando nel 2000 venne messo in cantiere il primo episodio pensato come B movie di facile consumo. Parliamo di Fast and Furious, primo di ben otto titoli uscito nel 2001 con la regia dello specialista di action movie Rob Cohen. In verità il “papà” della saga è il produttore Neal H. Moritz, demiurgo di tutti gli otto episodi, che decide di sviluppare un soggetto di Gary Scott Thompson su una indagine dell’Fbi, in particolare dell’agente Brian O’Conner (interpretato da Paul Walker), nel mondo delle corse clandestine, il cui ras incontrastato è Dominic Toretto (Vin Diesel) sospettato di essere a capo di una banda di rapinatori. Tre i punti di forza del film: l’amicizia virile tra Brian e Toretto (mentre erano in corso le riprese di Fast & Furious 7 Walker morì davvero in un incidente d’auto, da allora la serie procede senza di lui), le belle ragazze (in particolare Michelle Rodriguez, apprezzata recentemente come protagonista dell’ultimo film di Walter Hill, Nemesi) e appunto le macchine. Solo nel primo episodio ne vengono usati 15 modelli, tra i quali vanno citati per il loro valore iconico la Dodge Charger R/T nera del 1970 di Toretto, la Toyota Supra MK IV e la Mitsubishi Eclipse di Walker (nel successivo 2 Fast 2 Furious userà un modello cabrio di colore viola). Comune ai primi cinque episodi della serie l’utilizzo massiccio, in più situazioni, della Nissan Skyline GT-R, una delle macchine più amate dagli appassionati di tuning, nel cui fandom Fast and Furious ha sempre pescato. Probabilmente per motivi di product placement la maggior parte dei modelli usati nella saga sono giapponesi (del resto il terzo episodio The Fast and the Furious: Tokyo Drift è girato direttamente in Giappone), mentre la prima italiana, una Ferrari 360 Spider, si vede in 2 Fast 2 Furious. Nel quarto Fast & Furious – Solo parti originalisfreccia a un certo punto un Lamborghini LM 002, il fuoristrada della casa bolognese chiamato anche in senso spregiativo Lambo Rambo. Tornano modelli italiani in Fast & Furious 6 (una Giulietta Alfa Romeo e una Ferrari Enzo) e in Fast & Furious 7(Maserati Ghibli, Ferrari 458). Il settimo episodio, uno dei più spettacolari, si fa ricordare soprattutto per la presenza di una W Motors Lykan Hypersport con la quale i nostri eroi saltano da una finestra all’altra delle Etihad Towers di Dubai. Per gli appassionati di macchine la saga di Fast & Furiousè una manna come forse nessun’altra produzione cinematografica. Va detto però che non sempre i film sono di qualità irreprensibile, e soprattutto i primi risultano professionali nella confezione ma piuttosto sciatti nella scrittura, per il ricorso confuso agli stereotipi dell’eroismo americano. Da Fast & Furious 5 si cambia registro, le storie sono trattate con maggiore ironia, si sviluppa un’idea di comunità tra Toretto, O’Connor, amici e fidanzate a cui la morte improvvisa, nella realtà, di Paul Walker, ha dato un’apparenza di autenticità che non nuoce ai film, in particolare proprio al numero sette, il migliore. Quanto alla resa commerciale della saga sulle macchine più longeva di Hollywood, il primo Fast & Furious è costato 38 milioni di dollari e ne ha incassati 200. Fast & Furious 8 è costato 250 milioni di dollari e ne ha incassati un miliardo e 240 milioni (sempre di dollari).

Mauro Gervasini