I circuiti del cuore

Qual è il circuito più affascinante dell’automobilismo?
Non vi dirò Monza, più che altro perché continua a reiterarsi quello sfregio alla storia legato al non restauro delle paraboliche della pista di alta velocità.
Vi dirò allora che, secondo il mio personalissimo e opinabilissimo parere, il primato spetta al Nürburgring.
Inteso come “vecchio” Nürburgring, cioè il Nordschleife (Anello Nord), il tracciato da 22,8 km sul quale, nell’estate 1976, si consumò il dramma di Niki Lauda.
Poco importa se la F1, proprio a causa dell’incidente dell’ex ferrarista, smise di correre lì, ripiegando anni dopo sul Nürburgring “redux”, un ibrido non granché riuscito che tra l’altro adesso è stato definitivamente abbandonato dal circus a causa di una serie di macell combinati dagli amministratori.
La F1 non abita più lì, ma il Nordschleife, teatro della 1000 km e di altre gare, rimane con tutto il suo fascino e il suo carico di gloria (tra l’altro ben ricordato nel museo del nuovo Nürburgring).
Non solo: chi gestisce il vecchio tracciato dell’Eifel, un saliscendi straordinario tra le colline di una zona di natura vulcanica, ha anche concepito un business interessante: sulla pista, ovviamente quando non ci sono competizioni, può girare chiunque.
Con tutti i mezzi immaginabili: auto, moto, quad, camion, autobus. Quando mi sono cimentato io, sperimentando prima un paio di giri “a manetta” con una Viper da endurance (guidata da un ex driver di F1) e poi mettendomi al volante della Golf noleggiata in aeroporto, la singola tornata costava quattordici euro.
Può essere che oggi il prezzo sia un altro, ma in ogni caso, se passate di lì, fermatevi e provate a divorare quei chilometri di asfalto gonfi di fascino. Cimentatevi nel “decollo” dal Flugplatz, un “aeroporto” in salita e in contropendenza, con tanto di compressione che schiaccia (è lì che nasce la sensazione di involarvi verso il cielo); passate nella zona di Ex-Mühle, dove le fiamme e i gas tossici stavano uccidendo Lauda; testatevi nella gestione del Karussell, la curva-tornante con doppia pavimentazione intitolata al mitico Rudolph Caracciola: le sensazioni saranno uniche.
Ma attenzione al traffico, in particolare a quello dei motociclisti: “piegano” come pazzi e sbucano da ogni parte.

Non ci può essere fascino senza storia, in F1 e nel mondo dei motori.
Ecco allora che dovendo descrivere l’atmosfera delle piste del Mondiale, mi viene facile dire che poche, pochissime, di quelle di oggi hanno un appeal convincente.
Forse il tempo darà una stabilità di alto livello al circuito di Sakhir, in Barhein, quello maggiormente migliorato nel corso degli anni grazie al passaggio all’illuminazione artificiale – è più giusto e regolare correre di notte nel deserto, anziché nel caldo infernale di un pomeriggio – e al fatto che gli organizzatori hanno saputo creare una bella atmosfera di contorno.
E mi aspetto che pure Austin, grazie adesso alla presenza degli americani di Liberty Media quali promoter, faccia un grosso passo in avanti: la risposta della gente c’è, la città “vive” con un bell’entusiasmo i giorni del Gp, l’unico problema è trovare il modo che una pista originale, che nel layout miscela parti copiate da vari altri circuiti (da Suzuka a Silverstone), diventi più selettiva.
La chiave, in questo caso, sarà azzeccare sempre le mescole delle gomme, il vero elemento che può dettare differenze e aumentare lo spettacolo.

Ma tolti questi due tracciati, fatico a trovare qualcosa di veramente accattivante.
Sul piano scenografico, fanno colpo Singapore e Abu Dhabi, ma poi ecco che emerge il problema di fondo: sono luoghi straordinari per le immagini televisive (il circuito di Yas Marina negli Emirati è pure splendido sul piano architettonico), ma le piste non danno soddisfazione. Ed è incredibile come ad Abu Dhabi, con tutto lo spazio che c’era, non si sia riusciti a creare qualcosa di più interessante e selettivo. In fondo, è lo stesso guaio della new entry Baku, che offre sì angoli bellissimi (impressionante la salita e la discesa attorno alla città antica) e qualcosa di unico (il rettifilo sul lungo Caspio sul quale si raggiungono velocità pazzesche) ma che alla resa dei conti rimane una pista più da “roulette” che da corsa vera.

Insomma, meglio il vecchio mondo della F1, senza nostalgie retrò e con l’augurio che la ricerca (inevitabile) di nuovi posti e di nuovi mercati non sacrifichi la storia e il cuore del circus.
Il recupero della Francia e del Paul Ricard a Le Castellet va se non altro in questa direzione, detto che la giubilazione di Bernie Ecclestone ha definitivamente allontanato il rischio che si depennasse Silverstone (rea di pagare poco e male).
Ecco, Silverstone non è più il tracciato di un tempo, dove si arrivava grazie alle cartine militari perché anni or sono c’era un aeroporto usato anche nella Seconda Guerra Mondiale.
Oggi la pista, modificata e forse un po’ rovinata, e l’environment – questo invece ben sistemato e aggiornato – danno meno il senso dell’epopea.
Ma qui è nata la F1 e una culla va preservata, non messa in soffitta.
Anche il Canada è sfuggito al “taglio” di Bernie e di questo non si può che essere felici: è un altro luogo, l’Ile de Notre Dame dove si disputarono le gare olimpiche di canottaggio nel 1976, nel quale la passione è un valore aggiunto.
Centotrentamila persone alla domenica del Gp ti raccontano di un legame solido e profondo, un elemento imprescindibile sul quale costruire l’evento. Questo lo offrono pure altre piste “old time”.
Penso a Hockenheim, che nonostante l’eliminazione della configurazione a “banana” (i rischi erano diventati troppi) e la perdita dello status di tempio dell’alta velocità mantiene una solida identità grazie al famoso “motodrom” e scatena l’entusiasmo di tanti tifosi.
Penso alla nostra Monza, se vogliamo diventata un tracciato scontato e un po’ monotono (si “scaricano” le macchine e si va a tutta birra: serve un buon motore, prima che un buon pilota) ma pur sempre incarnatore dell’“idea” della F1.
Penso, infine, a Spa-Francorchamps, che ho lasciato per ultimo perché a mio avviso è l’ideale anello di saldatura con lo spirito del vecchio Nürburgring di cui parlavo all’inizio.
Anche qui, per tanti aspetti, si è fuori dal tempo: sette km di asfalto, su e giù per le alture delle Ardenne, un passaggio da “duri” quale la compressione del Radillon, gare nelle quali la variabile meteorologica – in certe zone può piovere, in altre può essere asciutto o esserci perfino il sole – va studiata a dovere e affrontata con la giusta capacità (e anche con un pizzico di fortuna).
Questa è la F1 che ha fatto la storia.
Questi sono i circuiti che dovranno sempre essere nel calendario.

Flavio Vanetti