Gli Stati Uniti d’America? Veri guerrafondai, secondo Howard Zinn

Pubblicato per la prima volta negli USA nel 1980, ‘Storia del popolo americano dal 1492 a oggi’ (‘A People’s History of the United States’) di Howard Zinn è stato dipoi rieditato nel 1995, nel 1998 e nel 2003.

In Italia, per i tipi de ‘Il Saggiatore’, nel 2005.

Si tratta di un’opera decisamente magistrale, curatissima, interessante e che propone degli Stati Uniti una particolare visione.

Come ebbe a dire il ‘Library Journal’: “Una storia… scritta dal punto di vista di coloro che sono stati politicamente ed economicamente sfruttati, nonché ignorati dalla maggior parte degli studiosi”.

Non che siano mancati e manchino saggi e riflessioni del medesimo tenore, che si siano spinti e si spingano per la stessa strada, ma, ritengo, non altrettanto intensi, documentati, ‘veri’ almeno secondo le idee radicali e le passioni dell’autore.

Mille le possibili e significanti citazioni.

Molte le analisi e le conclusioni sulle quali, per quanto schierato su una diversa sponda (ma ricordando a me stesso che spessissimo radicali e liberali trovano significativi momenti di contatto), sostanzialmente concordo.

In specie, essendo un ammiratore del guatemalteco Jacobo Arbenz Guzman e conoscendone la triste vicenda politica (ho molto scritto in proposito: si veda il mio ‘Il continente della speranza? Storia e storie dell’America Latina’), quando Zinn si sofferma sull’interventismo americano, derivasse o derivi ancor oggi tale interventismo dall’antico (è datato 1845) teorema di John O’Sullivan noto come ‘destino manifesto’ come dalle riflessioni di Frederick Jackson Turner a proposito della mitica ‘frontiera’.

Riporto, quindi di seguito, le righe che lo studioso colloca pressoché all’inizio del capitolo che dedica alla seconda guerra mondiale.

Howard Zinn
Howard Zinn

Righe che ricordano, elencano le mille volte nelle quali gli USA, fino al momento dello scoppio di quel  conflitto – lungi dall’impegnarsi, come retorica e propaganda dicevano e dicono (e come, peraltro, studiosi di opposte tendenze sostenevano e sostengono interpretando gli accadimenti dei quali Zinn parla in ben differente maniera), in difesa dei “Paesi inermi” – avevano operato internazionalmente per il proprio vantaggio bellamente infischiandosene dei diritti altrui.

“L’impegno in difesa di Paesi inermi corrispondeva all’immagine degli Stati uniti propagandata dai manuali di storia delle scuole superiori, ma non all’operato reale dell’America nel mondo.

Gli USA avevano provocato una guerra con il Messico e si erano annessi metà del Paese.

Avevano finto di aiutare Cuba a liberarsi dalla Spagna, poi si erano insediati sull’isola con una base militare, investimenti economici e un diritto d’intervento riconosciuto.

Si erano impadroniti della Hawaii, di Puerto Rico, di Guam e avevano combattuto una guerra feroce per sottomettere i filippini.

Avevano ‘aperto’ il Giappone al loro commercio con l’intimidazione e le cannoniere.

Avevano proclamato la politica della ‘porta aperta’ verso la Cina per poterla sfruttare come stavano facendo le altre potenze imperiali: insieme ad altre nazioni avevano inviato truppe a Pechino per affermare la supremazia occidentale nel Paese, e ve le avevano tenute per più di trent’anni.

Pur esigendo la porta aperta in Cina, avevano ribadito con fermezza (con la ‘dottrina Monroe’ e molti interventi militari) che in America Latina la porta era chiusa: ovviamente chiusa per tutti salvo che per gli stessi Stati Uniti.

Avevano organizzato una rivoluzione contro la Colombia e ‘creato’ lo Stato indipendente di Panamà per costruire e controllare il canale.

Avevano inviato cinquemila marines in Nicaragua nel 1926 per contrastare una rivoluzione ed erano rimasti nel Paese con una forza militare per sette anni.

Nel 1916 erano intervenuti nella Repubblica Dominicana per la quarta volta, mantenendovi poi le truppe per otto anni.

Erano entrati ad Haiti per la seconda volta nel 1915 lasciandovi i soldati per diciannove anni.

Tra il 1900 e il 1933 gli Stati Uniti erano intervenuti a Cuba quattro volte, in Nicaragua due, a Panamà sei, in Guatemala una volta” (la deposizione di Arbenz Guzman alla quale ho fatto precedentemente cenno è successiva alla seconda guerra mondiale essendo datata 1954) “in Honduras sette…

Alla vigilia della conclusione della prima guerra mondiale, nel 1918, una forza americana di settemila uomini sbarcò a Vladivostok nel quadro di un intervento alleato in Russia e vi rimase fino all’inizio del 1920.

Altri cinquemila soldati furono sbarcati ad Arcangelo, un altro porto russo, sempre come parte di un gruppo di spedizione alleato, e si fermarono per quasi un anno.

Il dipartimento di Stato riferì al congresso: ‘Tutte queste operazioni mirano a controbilanciare gli effetti della rivoluzione bolscevica in Russia’.

In breve, se l’entrata degli Stati uniti nella seconda guerra mondiale mirava a difendere (come credettero molti americani, di fronte alle invasioni naziste) il principio di non intervento negli affari degli altri Paesi, il passato della nazione gettava dubbi sulla sua capacità di sostenere quel principio”.

 

Nota bene

Su molti degli interventi elencati da Zinn e sui temi connessi, almeno indirettamente – e penso per esempio al mio scritto intitolato ‘Texas: le legittime lagnanze messicane a proposito delle origini dello ‘Stato della stella solitaria’’ e a quanto ho variamente vergato sia sul ‘destino manifesto’ che sulla ‘frontiera’ turneriana – mi sono soffermato nel corso degli anni. E’ possibile trovare quanto da me esposto in proposito, in specie, ripeto, a corollario, su  www.maurodellaportaraffo.com  digitando nomi e argomenti in ‘cerca nel sito’.