Ghiaccio

1982

Fu verso la mezzanotte che il lago, d’un tratto, ghiacciò.

Non quella pellicola fragile sotto la quale si percepisce il colore dell’acqua.

No.

Uno strato duro, spesso, bianco, impenetrabile.

Incredibile, ove si pensi al marzo già bene inoltrato e al giorno trascorso tra annunci di primavera e ventate non certamente gelide.

 

Andare a piedi all’isola.

Dopo trent’anni.

Ero bambino allora.

Ecco il da farsi domani, di prima mattina.

 

Una coppia, più avanti.

Procede spedita.

A sinistra, una donna.

Per quanto siano coperti, ugualmente intabarrati, cappuccio calato a proteggere il capo, mani in tasca, lo capisco.

Colgo le movenze femminee attraverso e sotto la pelliccia.

Volutamente, impiego del tempo ad appaiarli.

 

Un cenno.

Da tutti e due un cenno volgendo la faccia.

Uno sguardo chiaro, quasi bianco quello nel quale mi immergo.

Apparentemente alieno.

Conosco da sempre quel particolare lampo negli occhi delle donne e so interpretarlo.

Non guardano più di un secondo e subito sanno.

 

Lei giovane, lui più vecchio.

Spero, mi auguro sia il padre.

 

Nulla da dire, dopo.

Silenzio.

 

Non più di trecento metri adesso all’isola.

La costruzione in rovina, in vista malgrado un filo di nebbia.

L’approdo, una barca prigioniera, il vecchio casotto, il canneto, gli alberi spogli…

 

Tre o quattro passi sulla riva e il vialetto.

Mi seguono.

Piego verso il casotto.

Li perdo.

 

Le tracce del fuoco ancora ben visibili.

Quel giorno di festa finito male.

Malinconia.

Non fosse per il lago ghiacciato sarei altrove.

 

E’ ora di tornare.

 

Un grido.

Viene dagli scavi, sul retro dell’isola.

 

L’uomo è a terra, dolorante.

La gamba piegata, innaturale.

Capisco bene che si lamenti.

 

Si appoggia e andiamo verso la barca.

Liberata, di sbieco, può scivolare.

Credo sia la soluzione.

 

Fatica.

La ragazza aiuta, per quel che è possibile.

Spingere va bene, ma non tanto a lungo.

Ogni cento metri, sosto.

 

Arriviamo alla darsena che è quasi mezzogiorno.

L’uomo, aggrappato alla figlia raggiunge la macchina.

Mi salutano.

Sfinito, li guardo partire.

 

Panda rossa.

TI 804152, la targa.

 

Varrà la pena di scoprire a chi è intestata?

Varrà la pena di rivedere quegli occhi?