Dalla Trasnistria

Chiamatela come volete, Transnistria o Pridnestrovia che sia.

Per me è la Terra che non c’é.

Ci sono passato poco tempo fa.

È un lembo sconosciuto incastrato tra Ucraina e Moldavia.

Da questa si è staccata all’inizio degli anni Novanta, quando l’Urss è andata in pezzi.

Un paio di migliaia di morti da una parte e dall’altra, poca roba in confronto ai casini scoppiati nel Caucaso, ma anche qui il risultato è quello che i politologi definiscono un “frozen conflit”, un conflitto irrisolto, congelato.

La comunità internazionale non riconosce la Transnistria, per cui il regime di Tiraspol non c’é.

Almeno giuridicamente.

Anzi, non c’è proprio nemmeno Tiraspol.

De jure.

Al confine tra Moldavia e la Terra che non c’è mi hanno chiesto, naturalmente, il passaporto.

La frontiera tra Moldavia e Transnistria
La frontiera tra Moldavia e Transnistria

De facto.

E da italiano qual sono, hanno subito provato a estorcermi un minimo di liquidità.

Appena visto però che con il russo mi destreggiavo discretamente hanno rinunciato, aspettando il prossimo pollo.

La lingua di Pushkin serve pure a qualcosa, soprattutto considerando il fatto che qui è ancora stazionata la Quattordicesima armata.

Tiraspol gode infatti della protezione di Mosca.

Il padre padrone della Pridnestrovia (il Nistro è il fiume che vi scorre) è stato per oltre un decennio Igor Smirnov, buoni contatti con il KGB e l’apparato militare, sostituito dal 2011 da Evgeni Shevchuck.

La situazione generale poco è cambiata e la Transnistria è rimasta un buco nero in mezzo all’Europa, dove ogni traffico è lecito, tra armi, droghe ed esseri umani di ogni sesso ed età.

Il tutto alla faccia della Missione EUBAM dell’Unione Europea, che dovrebbe controllare chi va e chi viene.

I soliti soldi spesi male da Bruxelles.

Nella capitale che non c’è della Terra che non c’è mi sono fermato una giornata, un po’ perché d’inverno non è bello girare al freddo con il buio che arriva presto, un po’ perché in realtà c’è poco da vedere e un po’ perché se si vuole stare qualche giorno bisogna riempire qualche scartoffia di troppo.

E poi avevo le barricate di Kiev che mi aspettavano.

Da Chisinau (Moldavia) a Tiraspol ci si mette un’oretta in macchina (più code al confine, ovviamente), ma vale la pena: entrare nella Terra che non c’è, andare al ristorante nella Terra che non c’è e comprare vecchie figure di porcellana sovietica a prezzi stracciati (non fake, mi raccomando) nella Terra che non c’è, dà indubbiamente enorme soddisfazione.

Mi sa tanto che ci ritornerò.

Anche perché mi sono rimasti dei rubli in tasca.

Appena si allungano le giornate rifarò la strada che arriva da Odessa (Ucraina).

Sul vecchio treno sovietico con i sedili in pelle e le tende di velluto che ho già preso una volta nel senso inverso.

Sempre che viaggi ancora, verso la Terra che non c’é.

Stefano Grazioli