Cosulich (Roberto)

Furono per me, sul declinare i Sessanta e nel primo lustro scarso i Settanta, gli anni dedicati agli scacchi.
Non che mi sia riuscito di raggiungere una qualche brillantezza nel nobilissimo gioco ove di escludano improvvisi exploit limitatamente alle partite ‘semilampo’.
All’epoca, tra i non pochi scacchisti italiani di valore, di particolarissima e meritata fama godeva una specie di hippy, dalla fluente barba nera, che, viaggiando continuamente con ogni possibile mezzo di torneo in torneo, di soli premi spettanti ai vincitori e ai piazzati stentatamente viveva.
Roberto Cosulich, questo il suo nome, talento naturale, aveva imparato a muovere i pezzi e infinitamente di più da bambino in Sudamerica – dove il padre lavorava – avendo avuto la fortuna di imbattersi nel Grande Maestro tedesco, colà emigrato (esule) e vivente,
Hermann Pilnik.
Appariva e vinceva Cosulich, come detto.
Apparve e vinse a Varese e le partite che nell’occasione disputò furono dipoi dagli scacchisti locali a lungo e quasi religiosamente esaminate in ogni aspetto e immaginabile sviluppo.
Trascorsi cinque o sei anni, del Nostro si persero le tracce.
Conoscendone il tratto e le tendenze, si favoleggiò che fosse andato in India.
Da chissà quale guru, alla ricerca di chissà quale mai ‘verità’.
Così – corrispondendo la realtà alla fantasia – effettivamente era accaduto.
Tornato che fu, evidentemente incapace di fermarsi e di restare, sparì nell’amato continente Latino Americano e di lui non si ebbe più notizia certa alcuna.
Null’altro da aggiungere in merito?
Forse qualcosa.
India, primi anni Ottanta.
A Madras (oggi, orribilmente, Chennai), un giovanissimo scacchista si fa strada.
Si chiama Viswanathan Anand e, per qualche verso, la sua tecnica pare ispirarsi a Cosulich.
Sapete: la fantasia.
Immagino immediatamente che Roberto, nel periodo trascorso nel subcontinente, memore di quanto gli era accaduto con Pilnik, abbia debitamente insegnato l’arte a un volenteroso e promettente ragazzino lasciando in cotal modo ampia traccia di se.
Anand, chiederete?
Sarà dopo il duemila per anni ed anni Campione del Mondo e va annoverato certamente tra i grandi delle sessantaquattro caselle.
Gli è riuscito di non disperdere nel vento il talento naturale e la tecnica acquisita.
Vale – mi chiedo – vale davvero la pena farlo?
Non è forse meglio perdersi e scomparire nella leggenda?
Caro, vecchio Roberto…

Mauro della Porta Raffo