Comunismo e nazismo: forme di nichilismo moderno

Come scrive Stefan Zweig in ‘Il mondo di ieri’, la fede illuministica in un “progresso ininterrotto e incoercibile” fu distrutta dal Primo conflitto mondiale che inaugurò, secondo le parole di Luigi Fenizi, il “secolo crudele”.

Un secolo in cui il mondo è stato radicalmente trasformato e milioni di uomini sono stati brutalmente uccisi nel nome di valori contrari a quelli dell’illuminismo.

La società dei diritti è stata rasa al suolo tanto che Benedetto Croce, riflettendo sull’ideale di morte che aveva contraddistinto nazismo e comunismo, ha fatto riferimento alla figura dell’Anticristo, il quale distrugge per il piacere di distruggere innescando un vertiginoso processo in cui “il negativo vuole comportarsi come positivo ed essere come tale non più creazione ma (…) dis-creazione” (B. Croce, ‘L’Anticristo che è in noi’).

Nazismo e comunismo, benché proponessero l’uno un ideale perverso (il dominio di una razza sulle razze inferiori) e l’altro un ideale “generoso” (rendere gli uomini fratelli), hanno provocato nei fatti gli stessi orrori, macerie materiali e morali e una mole smisurata di morti.

Sia Lenin che Hitler hanno lasciato un’eredità totalmente negativa.

Il comunismo non ha dato vita a quanto prometteva imponendosi invece come superpotenza che però, una volta disgregatasi (come è capitato alla Germania del Terzo Reich) non è stata in grado di lasciare alcun principio, codice, istituzione.

Il vuoto che derivò dal crollo dell’URSS impedì ai Russi di riuscire a interpretare il ventesimo secolo (E. Furet, ‘Le passé d’une illusion’).

L’esperienza del comunismo ha dato luogo alla guerra tra governo e popolo divenendo, nelle sue fasi più acute, una “purga permanente”.

Il nichilismo prodotto dalla Rivoluzione non è da ascrivere soltanto al Terrore scatenato da Stalin perché le sue cause erano latenti nello stesso marxismo.

Nella dottrina marxista infatti, suggerisce Karl Korsch in ‘La formula socialista per l’organizzazione dell’economia’, “l’accento era messo sul negativo”: “il capitalismo doveva essere eliminato”. “Socialismo significava anticapitalismo”.

Quando i bolscevichi arrivarono al potere l’assenza di un programma positivo emerse in tutta chiarezza.

Per questo Lenin prima di attuare la rivoluzione rivela di sapere che il comunismo sarebbe inevitabilmente arrivato, ma di non sapere nulla delle “forme della trasformazione”; infatti, prima della rivoluzione, nessun insigne socialista aveva illustrato come si potesse praticamente realizzare la futura società socialista.

Questa, dice Lenin, è la “concreta difficoltà che si troverà di fronte la classe operaia dopo aver preso il potere” (Lenin, ‘Al primo congresso dei consigli dell’economia’).

Per quanto, a loro medesimo dire, Marx ed Engels avessero trasformato il socialismo da utopia in scienza, non avevano saputo indicare un modello concretamente alternativo al capitalismo.

Essi nelle loro opere asserirono chiaramente che il capitalismo è un mondo popolato da bestie feroci, un mondo che sarebbe stato spazzato via per fare posto al “regno millenario della libertà”.

Gli stati capitalisti, la classe borghese, interi popoli reazionari sarebbero così spariti dalla faccia della terra.

Si sarebbe trattato dell’ultima guerra santa, di un incendio generazionale, di una “lotta di annientamento e di terrorismo senza riguardi (Engels, ‘Il panslavismo democratico’).

E’ questo un programma pantoclastico intriso di nichilismo per il quale varrebbe la frase che Goethe fece dire a Mefistofele: “tutto ciò che esiste è degno di perire”, un programma per il quale potrebbe valere la definizione coniata da Rauschning per il nazismo: “la rivoluzione del nichilismo”.

Una rivoluzione che avrebbe come fine l’annientamento dell’esistente per dare luogo al dispotismo.

L’idea di Trockij secondo cui, una volta attuata la rivoluzione economica, il comunismo “non lascerà pietra su pietra della nostra attuale inerte e marcia vita quotidiana”, è assai simile a quella di Goebbels secondo la quale per avere una nuova creazione è necessario distruggere “ogni cosa, sino all’ultima pietra”.

Si tratta di una distruzione creatrice che assume un valore cosmico-storico, di una rivoluzione permanente che potremmo definire “satanica” in quanto finalizzata a ribaltare l’esistente nella sua totalità.

Il diavolo infatti vuole imitare Dio ma per potersi imporre come creatore deve prima operare una radicale distruzione che gli permetta poi di scrivere, secondo l’espressione di Mao, su una “pagina bianca” una storia totalmente diversa.

Per questo il totalitarismo persegue la distruzione totale del vecchio mondo corrotto: sulle sue macerie intende costruire quello nuovo.

Si può dunque parlare legittimamente di radicale nichilismo del totalitarismo sia per il nazismo che per il comunismo che, non a caso, hanno condotto l’Europa a “una guerra civile ideologica” (Nolte, ‘Nazionalismo e bolscevismo’).

Per Lenin infatti il passaggio dal capitalismo al socialismo avrebbe condotto all’“annientamento implacabile di tutte le forme di capitalismo”, all’annientamento della classe borghese perseguito “sterminando implacabilmente i nemici della libertà” (Lenin, ‘Terzo congresso dei Soviet’).

Similmente, per Hitler gli ariani si sarebbero salvati solo se avessero abolito lo stato di cose esistente distruggendo gli ebrei.

Nelle parole di Hitler i nuovi barbari avrebbero ringiovanito il mondo dopo aver fatto precipitare quello vecchio: “Potremo essere distrutti ma, se lo saremo, trascineremo il mondo con noi” (H. Raushning, ‘Così parlò Hitler’).

Ha ragione Furet quando definisce Hitler come “il fratello tardivo di Lenin” (‘Le passé d’une illusion’).

Un fratello nemico ma avente anche lui un progetto contraddistinto dalla hybris totalitaria.

Entrambi insomma avrebbero voluto cagionare una catartica distruzione del vecchio mondo liberandolo da ogni fattore inquinante tramite una terribile violenza fisica e morale.

Mediante il catartico terrore avrebbero costruito un mondo dove relegare i corrotti e i corruttori: l’universo concentrazionario.

I protagonisti della purificazione sarebbero stati i puri che, contrapponendosi agli impuri, avrebbero condotto il popolo alla purezza originaria.

In ogni rivoluzione totalitaria i puri hanno il compito di sradicare il Male e questa loro opera trova riscontro nella santificazione della violenza, strumento della catarsi.

Il nuovo mondo dunque sarebbe stato battezzato nel sangue.

Adoperando un linguaggio derivato dalla tradizione gnostica, si può asserire che sia nel nazismo che nel bolscevismo ci sono i pneumatici (i puri rivoluzionari), gli psichici (il popolo da redimere) e i corrotti (nonché i corruttori) da sterminare affinché si compia il programma soteriologico.

In altri termini, sempre adottando le categorie gnostiche, potremmo parlare di una guerra tra i figli della luce contro i figli delle tenebre.

Il totalitarismo è un fenomeno sui generis ma non per questo privo di fondamenti.

I suoi fondamenti sono infatti da rintracciare nel nichilismo inteso come “negazione della società esistente” che è proprio degli intellettuali del primo ‘900.

Mostrando il nulla dell’uomo moderno essi si scagliano contro la “società aperta” e dunque contro i valori della tradizione illuministica, contro la borghesia, contro l’individualismo, contro la proprietà privata, contro l’economia di mercato.

In altre parole, tutto il mondo anglosassone, essendosi venduto a Mammona, doveva essere distrutto.

D’altra parte, i borghesi sono visti già dai pensatori medioevali (gli oratores detentori della direzione intellettuale della società) come “agenti di Satana”.

Questo perché il potere che i borghesi avevano di fatto, almeno inizialmente, non era giustificato né dal demos né dagli altri poteri.

Essi insomma vennero considerati come degli usurpatori del potere.

A causa della loro mentalità economicistica che riduceva a merce ogni cosa e che rendeva venale ogni rapporto introducendo come unico metro di misura la razionalità utilitaristica, i borghesi sono visti con orrore dagli intellettuali “orfani di Dio” che condannano la società dell’avere.

Il passaggio dalla società chiusa a quella aperta è stato dunque osteggiato sin dall’inizio sia dai tradizionalisti che dai rivoluzionari, dai religiosi e dai laici, da sinistra e da destra, queste ultime divise in tutto tranne appunto che nell’avversione al mondo borghese “in cui tutto era fittizio, la sicurezza, la cultura, la stessa vita”.

Secondo Arendt (‘Le origini del totalitarismo’) all’inizio del XX secolo si determinò uno scenario che di lì a poco avrebbe condotto l’uomo dal nichilismo passivo a quello attivo col quale, secondo la rivisitazione heideggeriana di Nietzsche, la volontà sarebbe diventata “volontà di volontà”, potenza di potenza.

Significativamente dunque Bakunin asserì che bisogna distruggere perché “lo spirito distruttore è nello stesso tempo spirito costruttore”.

Eppure, benché le critiche al mondo borghese provenissero da lontano e lo scenario ideale fosse pronto, la distruzione di questo mondo difficilmente sarebbe arrivata se non fosse scoppiata la Grande Guerra, la quale produsse esattamente ciò che predisse il banchiere Ivan Bloch nel 1897 e cioè una mobilitazione totale delle risorse materiali e umane di tutti gli stati e, dopo la distruzione, la bancarotta, la disintegrazione dell’ordinamento sociale.

Come osservò Bergson, la guerra produsse una metamorfosi psicologica e morale rendendo importante ciò che prima era insignificante, introducendo una nuova scala di valori che fece regredire l’Europa verso forme di vita più selvagge.

La guerra alla quale molti parteciparono convinti che avrebbe condotto a una rigenerazione produsse invece una brutalizzazione della vita politica (G. Mosse, ‘Le guerre mondiali’) generando un tipo di uomo spietato che non aveva in gran valore la vita sua e degli altri e che, una volta tornato a casa, portò la violenza nella vita politica facendo dell’avversario il nemico da distruggere.

La guerra determinò una “psicologia da trincea” che fu funzionale alla lotta contro la società liberale (lotta fomentata tramite i “terribili semplificatori” della Classe, della Nazione e della Razza).

Tali idee prima minoritarie ebbero così il modo di esplodere propagandosi in grandi movimenti di massa decisi a polverizzare la società borghese.

Giuseppe Gagliano