Cabaret anni ’60 a Milano

A Milano il ‘fenomeno Cabaret’ esplode nei primi anni ’60, rinnovando la tradizione popolaresca che è sempre stata la caratteristica italiana di questa forma di spettacolo (da Petrolini, a Viviani e relativi dialetti).

Così sulle pedane del cabaret milanese (oltre a monologhi e sketches) si mescolavano la riproposta della canzone popolare e le nuove canzoni in lingua dialettale.

Innanzitutto perché in questi anni il milanese era ancora una lingua frequentata, ma soprattutto perché il dialetto era una bandiera, la stessa che aveva sventolato sulle canzoni di protesta della tradizione popolare, in perfetta sintonia con la nuova canzone d’espressione, di satira o di contenuto umoristico a volte surreale.

Certo, da quelle pedane non partivano solo i temi delle canzoni in milanese di Jannacci e Valdi, o le mie traduzioni di Brassens, ma anche le nuove proposte di comicità e satira di Paolo Villaggio, Cochi e Renato, Lino Toffolo, Franco Nebbia, i Gufi e tanti altri.

Ma lo spirito, l’aria che si respirava era la stessa: la Milano notturna che si contrapponeva con lo stesso entusiasmo alla Milano diurna del boom economico.

Quasi un contro-altare alla ventata di ottimismo di quegli anni: Jannacci cantava già l’emarginazione dei barboni e povera gente, i Gufi cantavano storie di sballati in osteria e surreali ballate macabro-satiriche.

La Milano diurna, quella della borghesia illuminata (come si diceva allora) amava divertirsi e poteva passare le notti nei locali della moda, felice – come da tradizione – di essere sbeffeggiata o comunque satireggiata da una banda di ‘matti’.

Ma anche attenta ad accogliere le nuove proposte squisitamente artistiche di una città che si rinnovava nella sua capacità creativa e nei modi di esprimerla.

I Gufi, Milano, 1967 (foto Lucas Uliano)
I Gufi, Milano, 1967 (foto Lucas Uliano)

E le notti si allungavano oltre la fine degli spettacoli, nei piano-bar aperti fino all’alba, dove si incontravano artisti, scrittori, giornalisti e professionisti, che potevano tornare in studio in tarda mattinata.

Io, da testimone e interprete di quella splendida stagione della vita e dello spettacolo, mi sentivo in perfetta sintonia con un pubblico che amava le canzoni milanesi d’autore come quelle del repertorio d’osteria.

E in quegli anni alcune delle storiche osterie milanesi erano affollate da un pubblico non abituale, che correva ad ascoltare personaggi incredibili con i loro repertori e le loro improvvisazioni (uno per tutti il ‘Pinza’ alla Briosa).

Insomma c’era una specie di osmosi fra osteria e cabaret: noi andavamo ‘a scuola’ dagli ultimi portatori della tradizione orale dialettale (che scuola e famiglia ci avevano segato negli anni della formazione) e alcuni personaggi delle osterie sono diventati protagonisti del cabaret (uno fra tutti: Rudy Magnaghi).

di Nanni Svampa

Ecco una conferma di quella matrice popolaresca che ha sempre caratterizzato il cabaret in Italia.

La cronaca di quegli anni ha celebrato il Derby Club come il simbolo di quella splendida stagione, anche perché la sua intensa attività è proseguita per molti anni consacrando comici di diverse ‘generazioni’.

Ma non va dimenticato che negli anni ’60 e fino ai primi anni ’70 altri locali diedero lustro alla Milano del cabaret: a partire dal “Lanternin” che fu la prima sede dei Gufi, al Nebbia Club, al Club 64 di  Tinin Mantegazza, al Refettorio di Roberto Brivio, etc.

Io allora ero uno dei quattro Gufi (con Lino Patruno, Roberto Brivio, Gianni Magni) che dal Lanternin partirono per il ‘Los Amigos’ di Torino, per poi inaugurare i nascenti cabaret di Bologna e Firenze, e tornare a Milano sulla pedana del Derby; poi il grande exploit estivo alla Bussola di Viareggio.

Ma fu breve la nostra permanenza nei locali.

Dopo un anno e mezzo di attività, scritturati da Remigio Paone, portavamo già nei Teatri di tutt’Italia il nostro Cabaret.

E così dalla matrice popolaresca del Cabaret italiano e milanese, ci siamo riallacciati alla tradizione più recente del ‘Cabaret teatrale’ che aveva visto come grandi nostri predecessori: i Gobbi, Paolo Poli, Fo, Parenti Durano e altri.

Nanni Svampa