All’origine del federalismo svizzero

Caso di successo di un Paese che è riuscito a non cadere nella trappola dello Stato moderno

Seppure a una scala piccola, ma tuttavia nient’affatto minuscola, la Svizzera è una persistente attuazione — di evidente successo — del modello politico alternativo allo Stato moderno.

Considerato che lo Stato moderno (di cui lo Stato italiano è un esemplare particolarmente mal riuscito) sta affondando sotto il peso della sua strutturale crisi finanziaria, buon senso vorrebbe che l’esperienza elvetica venisse da noi attentamente studiata, tanto più che per farlo non occorre sormontare alcuna barriera linguistica.

Viceversa un po’ per ignoranza e un po’ per pregiudizio questa occasione viene in larga misura sprecata.

Osserviamo in via preliminare che la grande capacità che la Svizzera ha di attirare capitali e patrimoni stranieri non spiega nulla del successo del suo modello politico.

La Svizzera dispone di una pubblica amministrazione di alta qualità a basso costo, e di un ambiente molto favorevole agli investimenti, non perché può far conto sugli ingenti depositi sulle sue banche di capitali e patrimoni stranieri.

E’ vero piuttosto il contrario: attira dall’estero grandi capitali e patrimoni perché la sua pubblica amministrazione è di alta qualità e di basso costo, e perché le condizioni d’insieme della sua economia sono favorevoli agli investitori (ma anche ai lavoratori).

Vale allora la pena di andare a vedere come mai.

E per questo non basta esaminare la sua struttura istituzionale e la sua cultura amministrativa.

Occorre andare più in là cercando di capire la visione del mondo che ne sta alla base nel profondo.

A tale riguardo meritano di venire scavalcati i luoghi comuni oggi consolidati che fanno in pratica coincidere la nascita della Svizzera con il travaglio compreso fra l’imposizione napoleonica della Repubblica Elvetica e la costituzione federale del 1848.

In effetti la Svizzera è il frutto di una vicenda storica che inizia nel 1291 e giunge fino a noi sviluppandosi nei secoli senza alcuna sostanziale interruzione.

E’ dunque un’esperienza di origine medioevale che via via si è aggiornata senza mai abbandonare la propria matrice originaria.

Una matrice tanto forte da resistere con successo alla pressione del modello dello Stato moderno malgrado l’incombente vicinanza della Francia.

E tanto radicata nel suo popolo da costringere Napoleone a fare l’unico passo indietro da lui mai fatto senza che vi fosse costretto a viva forza, ovvero la rinuncia alla Repubblica Elvetica centralizzata e unitaria.

Anche se ciò non piace agli svizzeri “laici”, che perciò non amano ricordarlo, tale matrice è chiaramente cristiana, e trova un’altissima eco simbolica nel fatto che la bandiera federale altro non è che lo stendardo medioevale della Passione di Cristo, e che simboli cristiani e colori riferiti alla liturgia o al Sacro romano impero ricorrono negli stemmi di ventuno dei ventisei Cantoni e Semi-cantoni.

Sono esclusivamente “laici” soltanto gli emblemi dei Cantoni di fondazione napoleonica, Ticino, Argovia e Turgovia; e poi di Neuchâtel e di San Gallo.

In sintonia con tale ispirazione c’è nell’esperienza politica svizzera una sostanziale fiducia nella libertà e nella responsabilità della persona e del popolo; quindi un rifiuto di quella presunta soggettività dello Stato che sta alla base dell’idea di Stato moderno.

Quel principio, oggi noto col nome di “principio di sussidiarietà”, la cui moderna formulazione risale ai secoli XIX e XX, non ha mai smesso insomma di stare alla base dell’esperienza politica della Svizzera (e, seppure in varia misura, anche della sua esperienza sociale).

In estrema sintesi le ragioni del successo dell’esperienza elvetica stanno tutte qui.

Ciò detto possiamo soffermarci in breve su alcuni elementi-chiave dell’odierno federalismo svizzero.

In primo luogo il suo carattere radicalmente democratico, che è bene espresso da questo dettaglio di grande valore simbolico: ad ogni livello in Svizzera il “primo cittadino” non è il capo del governo bensì il presidente dell’assemblea rappresentativa.

Dunque ad esempio il “primo cittadino” di un Comune non è il sindaco bensì il presidente dell’assemblea o consiglio comunale.

Da ciò deriva che col voto l’elettore non delega in modo incondizionato il proprio potere politico all’eletto.

E infatti in ogni momento se lo può riprendere mediante l’uso del referendum popolare.

In secondo luogo il suo carattere autenticamente federale: le competenze dei vari livelli di governo non sono “condivise” bensì ben distinte, e ciascun ente di governo territoriale ha piena responsabilità fiscale.

Ciò significa identità tra luogo della decisione sulla spesa e luogo della decisione sul prelievo fiscale (“chi paga comanda, e chi comanda paga”); e concorrenza fiscale, ovvero chi spende meglio può tassare meno i propri cittadini.

Sono questi i meccanismi che senza inutili bizantinismi legislativi e amministrativi garantiscono il controllo democratico della spesa pubblica.

In terzo luogo una legislazione di tipo non prescrittivo (ovvero, per ogni cosa ti dico che cosa devi fare) ma invece di tipo proscrittivo (ovvero ti fisso dei limiti entro i quali puoi fare ciò che vuoi).

La pressione fiscale svizzera, inferiore di circa venti punti percentuali rispetto alla nostra, le pensioni più alte con oneri sociali più bassi, la detassazione delle famiglie con figli a carico, la grande competitività dell’economia dipende da tutto questo.

Poi però ovviamente la Svizzera non è il paradiso terrestre.

Anche lì il peccato originale fa la sua parte, ma questo è ovvio.

Robi Ronza