Vaçlav Klaus, un lupo solitario (ma non troppo)

Sembra nato per far imbestialire tutti quanti.

Cominciamo con le ampie platee degli intellettuali di sinistra: con il suo libro ‘Il pianeta Blu’ eccolo sparare ad alzo zero le sue ‘scomode verità’, riprendendo e ribaltando il titolo del libro del trombone/trombato Al Gore che nel 2000 presentava lo zelo ecologista antindustriale e anticapitalista come la sola salvezza dell’umanità.

Il fanatismo ecologista è per Klaus più pericoloso di quello islamico per il futuro del pianeta, è un culto religioso criminale che costa milioni di vite umane all’anno, il prezzo del mancato sviluppo che le popolazioni più povere pagano alle paranoie ‘new age’ delle élites intellettuali che la povertà, di persona, non l’hanno mai frequentata in vita loro.

Ma non è la sola presa di posizione politicamente scorretta che caratterizza questo settantenne con la faccia da sergente di polizia, gli occhi furbetti, e una personalità che è un incrocio tra Margareth Thatcher e Franz Joseph Strauss.

Secondo lui, udite anime belle, alla base della decadenza dell’Occidente ci sono tutti gli ‘ismiì che hanno tramutato gusti, opinioni, tendenze, aspirazioni (anche opinabili) in ‘diritti’: “human-rightism, moral relativism, multiculturalism, homosexualism, genderism and extreme feminism, environmentalism, welfarism..”.

Cose che in Italia (per non dir degli USA) gli costerebbero la galera se non addirittura dei burrascosi talk show con un(a) indignato(a) Luxuria, e scandalizzati rimbrotti dalla Chiesa..

Si tratta dunque, alla fine, di un bruto reazionario, di una sorta di Borghezio mitteleuropeo, solo un po’ meno obeso e un più acculturato?

Niente affatto: stiamo parlando di un politico di pura tradizione liberale, vincitore della ‘Truman-Reagan medal for Freedom’, amico di Vaçlav Havel (politicamente assai più corretto, bisogna dire) e protagonista con lui delle meravigliose ‘rivoluzione di velluto’ prima e ‘separazione di velluto’ poi, attraverso le quali i Cechi si sono liberati dall’URSS prima e separati dagli Slovacchi senza un solo sparo poi.

Si tratta di un raffinato studioso e seguace di Von Hayek, di un economista fedele a Von Mises, che vede il motore del progresso in “mercati pienamente aperti, il minimo di presenza dello Stato, la sovranità della proprietà privata, la promozione della deregulation e delle liberalizzazioni, l’abolizione dei sussidi, la creazione di istituzioni solide ed essenziali…”.

Di un uomo e di un politico, insomma, che tra i valori mette sempre al primo posto la libertà.

Non che sia però molto amato nemmeno tra i liberali.

Non è un conformista, e ad esempio sull’Europa le sue posizioni fanno a cazzotti con quelle poeticamente (o finanziariamente) allineate al credo da europeismo da cartolina di quasi tutti i liberali presenti a Bruxelles.

Vaçlav Klaus
Vaçlav Klaus

Klaus è un realista, e dice senza mezzi termini che l’Unione Europea, così come oggi concepita, è una bestialità.

Una unione monetaria senza unione fiscale, sostiene, è solo un regime di cambi fissi, nessuno dei quali nella storia ha resistito più di qualche hanno senza che qualche aderente dovesse poi sganciarsi e svalutare: l’impossibilità di farlo nella UE è oggi una follia tecnica prima ancora che politica.

Ma una unione fiscale sarebbe molto peggio, una “slippery way to socialism”; come molti inglesi (non per nulla ha mandato un telegramma di auguri a Farage), e non solo, ritiene un Super-Stato centralizzato europeo una semi dittatura, pericolosamente simile al tragico modello sovietico, schiavo di burocrazie pianificatrici, nel quale mancherebbero i due motori della civiltà moderna: una libera economia di mercato, e una legittimazione democratica da parte del popolo.

Come molti liberali conservatori, infatti, Klaus è molto più vicino e rispettoso dei ‘sentimenti del popolo’ di molti pseudodemocratici: non si costituisce una sovranità in modo astratto e burocratico, tra popoli che parlano lingue diverse, hanno tradizioni e storie diverse, e reclamano giustamente di volersi sentire padroni a casa propria.

La cittadinanza nasce da storie condivise, da esperienze, tragedie ed evoluzioni maturate, stratificate e digerite in comune.

Un conto è aprirsi a merci, persone, idee ed integrarsi sempre di più gli uni con gli altri, tutt’altro è cedere la sovranità sulla propria comunità a terzi che non si sa a chi rispondono di cosa.

Tra tutti gli euroscettici, Klaus è uno dei più detestati, perché è scettico competente e documentato, nel nome sia del libero mercato, che della sovranità nazionale, che della legittimità democratica.

Questo bastian contrario si è differenziato dagli europeisti da salotto anche sulla questione ucraina.

Potete immaginare quanto uno spirito libero, che era un ragazzo quando Jan Palach si dava fuoco in Piazza San Venceslao per protestare contro i carri armati sovietici, possa amare l’espansionismo russo.

Tuttavia, da realista qual è, la sua condanna verso la pretesa dei nuovi leader ucraini di governare regioni che di ucraino non hanno nulla non è meno netta.

Perché mai dovrebbero negare agli altri quella autodeterminazione che reclamano per sé?

In Italia, come detto, uno così sarebbe in manicomio, galera, o forse semplicemente del tutto ignorato.

In Cechia invece lo hanno eletto due volte primo ministro, e due volte Presidente della Repubblica, dove ha terminato il suo mandato pochi mesi fa facendosi cogliere in flagrante nell’unico furto che gli sia stato addebitato nella sua carriera politica: quello della penna di un diplomatico cileno con cui aveva appena firmato un trattato.

Oltre alla spiccata personalità, forse lo hanno eletto e rieletto per i risultati forniti: oggi la Cechia ha una disoccupazione più bassa di Olanda, Belgio e Svezia, un deficit di bilancio inferiore al tre per cento (3%), una inflazione tra le più basse d’ Europa, dopo venticinque anni di de-sovietizzazione molto più tranquilla e trasparente di tutti gli altri paesi dell’est.

Se oltre ai calciatori in Italia fosse possibile importare anche i politici, e credo proprio sarebbe il caso, io sarei pronto a fare un’offerta.

Gianbattista Rosa