Il Giornale ‘nuovo’

“Fanfani conta amici e nemici”, è il titolo d’apertura del primo numero di “il Giornale nuovo” quarant’anni fa. (All’ultimo minuto fummo costretti ad aggiungere, in caratteri piccolissimi, quel “nuovo”, perché si era scoperto che esisteva già, benché inattiva e ignota a tutti, la testata “il Giornale”).

Non solo Fanfani: anche noi del neonato Giornale, e in primo luogo quelli del gruppo direttivo, eravamo andati alla conta nel giornalismo italiano.

Ci eravamo riconosciuti e contati ed eccoci, poco più di una cinquantina, impegnati a sfidare con un giornale ricco di idee e povero di risorse un sistema mediatico conformista, tutto allineato a sinistra dove nel montante successo del Pci, egemone su una Dc da esso condizionata, erano schierati i nuovi padroni del vapore con i loro codazzi, particolarmente attivi nei media.

Prima ancora che uscissimo, eravamo oggetto di attacchi, critiche, sarcasmo, pettegolezzi maliziosi, ingiurie.

Si distingueva in questo esercizio “Panorama”, allora diretto da Lamberto Sechi, all’insegna del menzognero slogan “I fatti separati dalle opinioni”: menzognero perché in quel settimanale sussiegoso ogni riga era opinione fondata su distorsione dei fatti.

Avevamo accuratamente raccolto e conservato attacchi e ingiurie, e quando infine uscimmo, cominciammo a ripubblicarli senza commenti in una rubrica “Dicono di noi”.

Andammo avanti per mesi a svergognarli per tutte le sciocchezze che avevano scritto.

Nel primo numero del Giornale,  accanto a quel titolo su Fanfani che sottintendeva un auspicio decisionista in una Dc preda delle correnti, campeggiava il fondo di Indro Montanelli, rivolto al lettore: in qualche passo con un filo di retorica, ma vibrante nello stabilire un rapporto profondo tra i lettori e il Giornale.

Come ben si sa, il Giornale nasceva dal distacco di Montanelli e con lui di una buona parte delle migliori firme, dal Corriere che Piero Ottone aveva allineato a sinistra abbandonando la tradizionale posizione moderata del quotidiano della borghesia milanese.

Con lui, avevano lasciato il Corriere Enzo Bettiza, sovietologo, grande analista di politica internazionale, scrittore finissimo; Cesare Zappulli, autorevole commentatore di temi economici e di costume, personaggio coltissimo, di elegante ironia partenopea; Mario Cervi e Egisto Corradi, inviati speciali di punta, in guerra e su grandi eventi internazionali; Dan Segre, insuperabile esperto di Medio Oriente; Gian Galeazzo Biazzi Vergani e Leopoldo Sofisti, uomini di macchina, che cioè sanno tecnicamente organizzare la complessità di un quotidiano.

“L’argenteria di famiglia”, come commenterà Franco Di Bella, in seguito direttore del Corriere dopo Ottone.

A coloro che avevano lasciato il Corriere si affiancavano nella nuova avventura altre grandi firme  dai percorsi professionali diversi: Guido Piovene, il letterato e romanziere che con ciò rientrava nel giornalismo attivo, quale responsabile di una terza pagina che sarebbe stata rigorosa e ricca di grandi nomi, da Rosario Romeo a Renzo De Felice; Renzo Trionfera, brillante firma di l’Europeo.

Una menzione a parte la riservo a Gianni Granzotto: scrittore finissimo, uno dei primi e rapidamente popolarissimo commentatore di fatti politici e di costume nel telegiornale Rai in bianco e nero.

Personaggio di grande esperienza internazionale e di garbo cardinalizio, Granzotto era di rara eleganza, nella scrittura e nell’intero modo di essere.

Era anche presidente dell’Ansa, carica che richiede consenso dall’establishment  di editori e direttori.

Per noi del Giornale, fu presidente della società editrice, e il fatto che questo incarico in un giornale di rottura come il nostro non mettesse a rischio per lui la presidenza dell’Ansa la dice lunga sul suo valore e sulle sue qualità umane e professionali.

Concordai con lui il mio ingresso al Giornale.

All’epoca, maggio 1974, ero da due mesi un caporedattore alla Rizzoli, dopo una decina d’anni da professionista in giornali del pomeriggio.

Mi contattò Egidio Sterpa, che era incaricato di costituire la cronaca del nuovo quotidiano, offrendomi di farne parte.

Sterpa era stato il mio primo direttore e dovevo a lui il mio inizio professionale.

Accettai senza esitazioni di dimettermi dalla Rizzoli e di partecipare all’avventura, sia per adesione intellettuale sia per il gusto di lavorare con grandi firme che avevo sempre ammirato.

Cominciavo a interessarmi di questioni del comunismo internazionale, e il Giornale, prima ancora di uscire, si presentava sul tema con nomi di prima grandezza: da Bettiza a François Feito, a Raymond Aron, a Frane Barbieri, il brillante giornalista dalmata epurato da Tito.

Concordato con Montanelli e Bettiza il mio ingresso nel gruppo fondatore, in cui ero forse il più giovane, ebbi poi l’incontro con Gianni Granzotto per gli aspetti contrattuali.

Ci intendemmo subito.

Col sottinteso della presenza di tante grandi firme e primedonne, mi disse che non poteva rispettare i miei “gradi” di caporedattore: sarei potuto entrare solo come redattore normale.

Gli risposi che i gradi non mi interessavano, ma che miravo col tempo a essere qualcosa di più di un redattore, per cui lui mi espresse i suoi fervidi auguri.  (La sorte mi è stata propizia, dopo pochi anni fui mandato corrispondente all’estero, prima da Pechino, quando la Cina era un altro pianeta, poi da Mosca in età sovietica).

Prima di lasciarci dopo il breve colloquio, mi chiese garbatamente se poteva pormi una domanda su un punto privato: “Come mai ha quelle cicatrici in viso?” .

Da bambino, durante la guerra, ho avuto un incidente in casa, per cui fui curato alla meno peggio in un ospedale da campo francese.

Di quel fatto, mi restano le cicatrici  sul volto.

Gli raccontai  l’episodio, e lui commentò sorridendo:

“Non banalizzi.

Racconti che sono dovute a un duello alla spada Heidelberg.

Giochi sul fascino”.

Ecco. Di quel periodo di fervore, tra i molti ricordi, questa garbata ed elegante espressione di simpatia da parte di Gianni Granzotto si stacca su tutte le altre.

La storia dell’uscita del Giornale, poi, è un’altra storia.

Fernando Mezzetti